Pechino, 11 lug.- La presenza degli Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale non costituisce una minaccia per la Cina. Lo ha ribadito il comandante delle forze armate statunitensi Mike Mullen in visita a Pechino. Washington ha preso un impegno a lungo termine volto a mantenere la pace e la stabilità nella regione, ha spiegato Mullen sottolineando poi come l'instabilità degli equilibri nel Mar Cinese Meridionale colpisca tutti. Stati Uniti in primis che per questo motivo si muovono per garantire la libertà di navigazione nelle acque contese.
E per raggiungere lo scopo Usa e Cina devono collaborare, suggerisce Mullen, che assicura che Washington non mira a contenere l'ascesa di Pechino nella regione, ma al contrario auspica una maggiore condivisione delle responsabilità da parte della Cina. "Il successo di una potenza non è dato dal fallimento di un'altra. Ci auguriamo che la Cina diventi un potente partner e che insieme riusciremo a risolvere questioni a livello regionale e internazionale" "Noi siamo e rimarremo una nazione pacifica così come lo è la Cina". Le dichiarazioni del comandante giungono alcuni giorni dopo l'inizio delle esercitazioni navali congiunte tra Usa, Giappone e Australia nel Mar Cinese Meridionale, a largo delle coste del Brunei. Un accordo che vede schierati da sabato nelle acque contese cacciatorpedinieri statunitensi e giapponesi e una motovedetta australiana.
Da Pechino nessun commento sulle manovre congiunte, ma sono in molti a ritenere che la mossa avrà di certo fatto storcere il naso al Dragone che già qualche settimana fa aveva fatto sapere che "le dispute nel Mar Cinese Meridionale devono essere risolte esclusivamente dai Paesi coinvolti che hanno interessi nella regione". Più diretto il viceministro degli Esteri Cui Tiankai: "gli Stati Uniti dovrebbero restare fuori dalle dispute nel Mar Cinese Meridionale. I Paesi coinvolti nelle questioni territoriali stanno giocando con il fuoco e mi auguro che questo non sia alimentato da Washington" aveva poi aggiunto Cui.
Da tempo il Mar Cinese Meridionale è al centro di una complessa disputa territoriale che vede coinvolti Cina, Vietnam, Filippine, Taiwan, Brunei e Malaysia, tutti impegnati a rivendicare in tutto o in parte le acque intorno alle Isole Paracel e alle Isole Spratly, un pugno di scogli disabitati ma - secondo diverse esplorazioni - ricchi di risorse energetiche. La Cina proclama la sua sovranità sull'intero Mar Cinese Meridionale, e tenta da tempo di gestire le controversie una per una con i singoli stati, anziché impegnarsi in negoziati multilaterali. In particolare negli ultimi mesi, Pechino è impegnata in un braccio di ferro con Filippine e Vietnam che lamentano diversi episodi di sconfinamenti territoriali da parte della Cina tanto che sia Manila che Hanoi hanno espresso lamentele formali all'ONU.
Quanto agli Stati Uniti, invece, lo scorso anno avevano già ribadito l'interesse nazionale alla libera circolazione nell'area. Washington pattuglia le acque dell'area Asia-Pacifico dalla Seconda Guerra Mondiale ed è alleata della Thailandia e delle Filippine, oltre ad essere legata a Taiwan da un trattato che la vincola a tutelarne la difesa. E appena una settimana fa, gli Usa, per bocca del segretario di Stato Hillary Clinton, si sono detto pronti a offrire armi alle Filippine e a modernizzare il loro apparato militare (questo articolo).
Nel frattempo ieri, mentre a largo del Brunei erano in corso le esercitazioni, la Cina ha inviato una motovedetta lungo le coste delle Spratly dove l'imbarcazione, con 22 uomini a bordo, si fermerà per 50 giorni per perlustrare la zona.
Dal mare alle strade di Hanoi, la controversia nel Mar Cinese Meridionale infiamma anche i vietnamiti che, dopo aver manifestato liberamente negli scorsi fine settimana, sono finiti ieri in carcere per aver preso parte a proteste anti-cinesi. Fermati manifestanti, giornalisti e fotografi vietnamiti e stranieri. Il dietro-front del governo del Vietnam arriva dopo i colloqui con Pechino e, sopratutto, due settimane prima il meeting dell'Assemblea Nazionale che dovrebbe riconfermare per i prossimi cinque anni la poltrona del primo ministro Nguyen Tan Dung.
Prosegue intanto la visita di Mullen che oggi incontrerà la controparte cinese Chen Bingde. In agenda, il disarmo nucleare della Corea del Nord e soprattutto la questione della vendita di armi a Taiwan - l'isola che si è resa indipendente, ma Pechino reclama come parte del territorio cinese – avvenuta lo scorso anno ad opera degli Usa. Immediata fu la reazione di Pechino: "quello degli Usa rappresenta un colpo basso e un'intromissione nelle questioni interne del Paese" . Risultato: la Cina congela i rapporti militari con gli Usa. "La vendita di armi a Taiwan intralcia lo sviluppo pacifico delle relazioni tra le due sponde" si legge nel "libro bianco". D'altronde che la mossa degli Usa non sia andata giù al Dragone non è mai stato un mistero: già a gennaio nonostante la visita di stato del segretario della Difesa americano Robert Gates abbia riaperto il dialogo, il ministro della Difesa cinese Liang Guanglie non ha perso occasione per precisare: "La Cina è contraria al riarmo di Taiwan. Se ciò dovesse accadere di nuovo non è esclusa una nuova interruzione" (questo articolo ).
di Sonia Montrella
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