Pechino, 20 ott.- Per rassicurare gli animi sulla solidità del sistema creditizio cinese scende in campo anche la China Banking Regulatory Commission, l'authority bancaria di Pechino: "Siamo generalmente preoccupati per i prestiti concessi alle amministrazioni locali, al settore immobliare, per il sistema dei prestiti informali e per altre aree di potenziale rischio - ha scritto il presidente Liu Mingkang in un comunicato pubblicato giovedì sul sito di CBRC - ma nel complesso la situazione è sotto controllo".
Ai margini di una conferenza tenuta nella capitale cinese mercoledì scorso, Liu Mingkang aveva esplicitamente accusato analisti e agenzie di rating di "diffondere voci allarmistiche sulle banche e sull'economia cinese" e di "sottovalutare le capacità della Cina sul fronte delle riforme e del management".
Il presidente dell'authority, tuttavia, ha ribadito che la Commissione sta "attuando misure effettive" per evitare che il circuito di crediti informali - le cosiddette "banche ombra"- possa arrecare danni al sistema finanziario cinese nel suo complesso.
Che cosa sono le "banche ombra" e perché stanno causando tanto allarme in Cina e all'estero? All'origine c'è la serie di fallimenti, fughe e suicidi di imprenditori che ha colpito la metropoli industriale di Wenzhou, nel sud della Cina. Al centro di tutto c'è il cosiddetto sistema del "credito ombra", un circuito creditizio parallelo affidato a società simili alle trust companies - sia registrate che clandestine -, che offrono prestiti istantanei con tassi d'interesse che possono anche superare il 100% annuo, più di quindici volte rispetto ai tassi applicati normalmente. Le trust companies ottengono il liquido tanto da individui che da aziende: per capire la pervasività del fenomeno basti pensare che una stima della sede locale della Banca centrale mostra che nel sistema - tanto come debitori che come creditori - è coinvolto il 90% delle famiglie e il 65% delle imprese di Wenzhou, una città che con l'hinterland raggiunge i 10 milioni di abitanti.
Questi prestiti servivano a coprire buchi di liquidità temporanei, ad esempio pagare fornitori, e venivano ripagati nell'arco di qualche settimana o di qualche mese a tassi ovviamente inferiori rispetto a quelli applicati annualmente.
Ma nell'ultimo periodo qualcosa è cambiato, in seguito alle strette imposte dal governo centrale alle banche e a causa del rallentamento dell'economia globale. Le imprese di Wenzhou, che non potevano più rivolgersi al sistema bancario tradizionale a causa delle restrizioni al credito volute dal governo centrale, si sono affidate completamente al "credito ombra", e la riduzione delle ordinazioni dall'estero ha fatto il resto: l'impossibilità di ripagare i debiti ha portato alla bancarotta alcuni operatori del settore immobiliare e ha innescato una catena di fallimenti che hanno portato un certo numero d'imprenditori a sparire dalla circolazione.
Le ultime stime della Banca centrale indicano che quest'anno a Wenzhou i "prestiti informali" hanno raggiunto quota 110 miliardi di yuan (pari a circa 13 miliardi di euro, o 17.2 miliardi di dollari), e che in pratica quasi ogni singolo membro della comunità è coinvolto, contemporaneamente come creditore e come debitore.
La crisi a Wenzhou ha contribuito ad aggiungere ulteriori tensioni al sistema creditizio cinese, sul quale già da tempo gravano diversi dubbi. Nel 2008, allo scoppio della crisi finanziaria globale, il governo di Pechino chiese alle banche di erogare quanti più nuovi prestiti possibile per sostenere la crescita ed evitare la recessione: secondo alcune stime, nel periodo 2009-2010 gli istituti di credito cinesi hanno immesso sul mercato un'immensa mole di liquidità, pari a 17.500 miliardi di yuan (al cambio attuale circa 1985 miliardi di euro).
Una buona parte di questa somma è stata concessa alle LIC, Local Investment Companies, agenzie semipubbliche controllate dalle amministrazioni locali, capaci di offrire alle banche i terreni a loro disposizione come garanzia. Le LIC hanno impiegato il fiume di finanziamenti per la realizzazione di immensi progetti immobiliari, dei quali in molti casi è difficile intravedere un ritorno economico. Contestualmente, l'investitore cinese - spesso privo di significativi strumenti d'investimento - ha puntato tutto sul mattone, determinando solo nel 2010 un incremento del 18% dei prezzi delle case che rende ormai sempre più difficile l'acquisto di un'abitazione per la classe media.
Secondo un rapporto della China Banking Regulatory Commission pubblicato dal settimanale Caixin nel luglio scorso, le LIC avrebbero ottenuto prestiti per 7660 miliardi di yuan (869 miliardi di euro, al cambio attuale), dei quali il 23% andrebbe ormai classificato come credito in sofferenza e il 50% avrebbe un esito "incerto". Secondo una stima indipendente del gruppo di ricercatori della Northwestern University of Illinois sotto la guida del professor Victor Shih, i prestiti concessi alle LIC ammonterebbero invece a più di 11mila miliardi di yuan (1248 miliardi di euro).
Negli ultimi mesi, dopo continui rincari, i prezzi delle proprietà hanno iniziato a registrare cali in alcune delle principali città cinesi, facendo temere lo scoppio della bolla immobiliare.
Il sistema finanziario cinese, quindi si trova sotto attacco tanto sul fronte dei prestiti alle amministrazioni locali che su quello del credito ombra. E mentre i dati sulla crescita del terzo trimestre mostrano un rallentamento -+9.1%, il peggior risultato degli ultimi due anni - in molti si chiedono se le parole di Liu Mingkang basteranno ad arginare i timori.
di Antonio Talia
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