« Siamo cinesi con brand italiano»
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« Siamo cinesi con brand italiano»

« Siamo cinesi con brand italiano»

Intervista. Parla Dennis Qin, ceo di China Dongxiang, società di abbigliamento sportivo leader oltre la Grande Muraglia
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Luca Vinciguerra
SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Uno dei grandi marchi dell'abbigliamento sportivo in Cina non parla americano. E neppure tedesco o francese. Parla una sorta di esperanto italo-cinese che piace a tutti: ai giovani e ai meno giovani, agli sportivi puri e agli amanti del tempo libero, ai ricchi e ai meno ricchi. In soli cinque anni di vita, grazie all'acquisizione dei diritti sul marchio Kappa per i mercati di Cina e Macao, China Dongxiang è diventata uno dei brand dell'abbigliamento sportivo più famosi oltre la Grande Muraglia. Dennis Qin, amministratore delegato e azionista al 3,5% del gruppo, è stato il grande artefice di questo successo aziendale.
Dottor Qin come vi è venuto in mente di comprare un marchio italiano?
A un certo punto, eravamo stanchi di pagare ricche royalties, pari a oltre l'8% del fatturato annuo, ai proprietari italiani di Kappa. Così nel 2006 abbiamo fatto la nostra proposta a BasicNet e abbiamo raggiunto un accordo per comprare i diritti esclusivi del marchio Kappa per la Cina. Peccato, però, che non avessimo abbastanza soldi per chiudere l'operazione.
E allora come avete fatto a comprarla?
Ci siamo rivolti a una banca. Morgan Stanley è stata ben contenta di aiutarci versando 38 milioni di dollari per ricapitalizzare China Dongxiang. Per acquisire Kappa ne abbiamo spesi 35. Dopo di che, sempre con l'aiuto di Morgan Stanley, abbiamo quotato China Dongxiang alla Borsa di Hong Kong. Anche la banca americana non ha fatto un cattivo affare: dopo tre anni, quando è uscita dall'azionariato, il suo investimento si era moltiplicato di 12 volte.
Siete stati coraggiosi...
Sì, anche perché all'epoca Kappa faceva fatica a penetrare sul mercato cinese e le vendite erano piuttosto modeste.
Come avete fatto a trasformarla in un'azienda di successo?
Per prima cosa, abbiamo cambiato il posizionamento del marchio. Abbiamo capito subito che era assurdo pensare di fare concorrenza a giganti come Nike e Adidas che potevano permettersi di spendere cifre colossali, totalmente fuori dalla nostra portata, sulla sola sponsorizzazione di un calciatore. Così abbiamo deciso di diminuire la percezione di Kappa come marchio tecnico, per rivolgerci a un pubblico più ampio.
Vuol dire i giovani?
I giovani sono certamente lo zoccolo duro della nostra clientela. Soprattutto gli studenti tra i 17 e i 25 anni che non hanno grandi disponibilità economiche. Non è un mercato enorme, però è un mercato che fa tendenza. Vedere gente giovane, atletica e in forma fisica smagliante che veste Kappa è un'ottima pubblicità, che ci consente di allargare la nostra fascia di pubblico a consumatori più anziani alla ricerca di un abbigliamento comodo, colorato, trendy, e con un tocco di romanticismo italiano da indossare nel tempo libero.
Insomma, a differenza di quanti fanno molti operatori stranieri del tessile abbigliamento, avete adattato il marchio Kappa alla domanda del mercato cinese...
Esattamente. Anche le aziende del settore di grande notorietà non possono permettersi di vendere in Cina gli stessi prodotti che commercializzano in Europa e Stati Uniti. Per vendere su questo mercato bisogna essere capaci di realizzare qualcosa che incontri i gusti dei cinesi, mantenendo al tempo stesso l'identità del brand.
Azzeccare il prodotto giusto è sufficiente per avere successo e fare profitti?
No, i volumi da soli non bastano. Nel nostro caso, siamo riusciti ad accompagnare la straordinaria crescita del fatturato a una crescita costante dei margini. Oggi il nostro margine operativo netto si aggira intorno al 40%, ed è molto più alto rispetto alla media del settore.
Qual è il segreto di una profittabilità così elevata?
Semplice. Pur essendo un'azienda cinese, grazie al posizionamento raggiunto dal marchio Kappa, possiamo commercializzare i nostri prodotti a prezzi superiori del 30% rispetto ai nostri concorrenti domestici. E al tempo stesso, pur vendendo con prezzi al dettaglio quasi uguali a quelli di Adidas o Nike, abbiamo costi di produzione inferiori di circa il 20% rispetto ai nostri grandi competitor internazionali.
Pubblicità e marketing hanno un ruolo cruciale nella diffusione globale dei marchi di abbigliamento, soprattutto tra i giovani. Voi quanto spendete per promuovere Kappa in Cina?
Molto meno di quanto si possa pensare. Diciamo circa la metà dei nostri grandi concorrenti stranieri che spendono circa il 15% del loro fatturato annuo in advertising. Abbiamo una politica promozionale molto accorta, ed è questa la ragione per cui non facciamo pubblicità in televisione e non sponsorizziamo grandi eventi sportivi, atleti o squadre.
Alla pubblicità, dunque, pensa solo Kappa Italia?
Sì, però se c'è bisogno, diamo una mano anche noi. BasicNet, per esempio, non aveva abbastanza risorse per sponsorizzare la Roma Calcio e così, visto che si trattava di un'operazione pubblicitaria strategicamente molto importante a livello globale per il marchio Kappa, è intervenuta China Dongxiang.
A parte questo episodio, che rapporti avete con la controllante italiana di Kappa?
Buoni. C'è molta collaborazione, soprattutto sul design, perché è interesse comune sviluppare nel modo migliore il marchio che è unico, anche se le proprietà sono diverse.
Grazie al boom degli ultimi anni, oggi le vostre casse traboccano liquidità. Non sareste interessati a ripetere l'esperimento fatto con Kappa e acquisire un'altra azienda straniera?
Certamente, è proprio il nostro obiettivo. Siamo alla ricerca di un marchio internazionale, che abbia qualche attinenza con il mondo dello sport, e che possa piacere al pubblico cinese.
Lei enfatizza sempre l'aspetto cinese del vostro business. Visto il successo riscosso sul mercato domestico, perché China Dongxiang non punta ad acquisire un marchio globale da gestire globalmente?
Perché non sarebbe il nostro mestiere. Noi conosciamo bene il mercato cinese perché sappiamo come gestirlo sotto tutti gli aspetti: creativo, produttivo, distributivo, finanziario. Ecco perché vogliamo restare saldamente ancorati a questo mercato. Oggi potremmo comprare senza grossi sforzi anche tutta la BasicNet. Ma poi chi gestirebbe l'attività della società nel mondo?
ganawar@gmail.com
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09/02/2010
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