"La Cina cerca di condurre i suoi affari separati dalla politica": Sun Laixiang, direttore del programma accademico di International Management for China della SOAS (School of Oriental and African Studies) presso la London University, non crede alle letture "politiche" del recente disimpegno della Cina nel sostegno al debito pubblico americano. I fatti: qualche giorno fa è stato reso noto da Washington che nel dicembre scorso Pechino ha venduto Treasury Bonds in suo possesso per l'equivalente di 34.2 miliardi di dollari. Si tratta di un netto taglio del 36% negli investimenti cinesi in T-bond, T-notes e T-bills, che ha portato il Giappone di nuovo in vetta come primo sottoscrittore del debito pubblico USA, posizione che ufficialmente non occupava più dal settembre 2008. Alcuni analisti internazionali hanno avanzato l'ipotesi che questa vendita massiccia potrebbe presagire un progressivo disinteresse del Dragone verso i titoli di Stato americani e verso il dollaro, magari anche a causa delle recenti tensioni tra America e Cina: "Se analizziamo i dati dell'anno scorso, nell'arco dei 12 mesi se ne registrano cinque in cui Pechino ha ridotto le sue riserve di debito pubblico USA, e sette mesi in cui le ha incrementate - dice il professor Sun -, per questo ritengo che alla base della decisione ci siano poche considerazioni politiche e qualche considerazione economica". Di che tipo? Secondo Sun Laixiang, la Cina ha bisogno di differenziare il suo portafoglio e ridurre l'enorme quota di debito pubblico USA custodita nelle sue casse: "Se uno guarda al 2010, il dollaro è sicuramente la valuta più interessante, ma l'attrazione che può esercitare verso la Cina impallidisce se confrontata con quella di petrolio, metalli, metalli preziosi e commodities in generale. Pensiamo alle grandi acquisizioni dell'ultimo periodo in tutti questi settori così cruciali per la crescita cinese: la somma è più o meno equivalente a quella dei bond americani messi in vendita". L'euro, anche alla luce dei recenti avvenimenti, non sembra fornire una valida alternativa al biglietto verde: "L'euro rappresenta una scelta difficile, perché anche se l'Unione europea ha una Banca centrale, i bond appartengono ai governi individuali: se succede qualcosa alla Grecia, che effetto avrà tutto ciò sull'euro? Per Pechino, ribadisco, è meglio orientarsi sulle commodities e anche sui metalli preziosi". Il dollaro, insomma, è sempre meno interessante per il Dragone: "Penso che ogni economista sia preoccupato non solo dall'andamento del dollaro nel medio-lungo periodo, ma anche da quello di tutte le altre valute maggiori" spiega Sun Laixiang. "Se una nazione stampa troppo denaro, come hanno fatto America, Gran Bretagna, Giappone o anche la Germania nel corso della crisi, cosa ci si aspetta che succeda nei prossimi due o tre anni, se non una svalutazione della moneta? Si tratta solo di una questione di buon senso. Vorrei anche sottolineare che il recente raffreddamento delle relazioni diplomatiche tra Cina e America in merito a questioni come il caso Google o la vendita di armi a Taiwan, avviene successivamente alla vendita di titoli stato USA del dicembre scorso. Se Pechino continuasse a vendere Treasury Bonds in maniera massiccia anche a gennaio o a febbraio, allora forse si potrebbero incominciare a vedere i contorni di una qualche forma di ritorsione". Il susseguirsi degli ultimi avvenimenti, in effetti, sembra giocare a favore della Cina. Ma non esclude neanche un inasprimento americano proprio in seguito al disimpegno di Pechino.
di Antonio Talia
con la collaborazione di A. Spalletta