### Per uscire dalla crisi occorre diventare 'glocal' - TACCUINO DA SHANGHAI
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### Per uscire dalla crisi occorre diventare 'glocal' - TACCUINO DA SHANGHAI

### Per uscire dalla crisi occorre diventare 'glocal' - TACCUINO DA SHANGHAI

di lettura

di Valentino Blasone*

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Milano, 30 dic - L'11
dicembre del 2001, la Repubblica Popolare Cinese, dopo 15
anni di negoziati, faceva ufficialmente ingresso nella World
Trade Organization (WTO). Da allora in avanti si sono
dispiegate con forza e a ritmi crescenti le vele della
globalizzazione facendo assurgere alla Cina, peraltro da
essa non sempre voluto, un ruolo di leader sulla scena
mondiale. In questa corsa o viaggio, si e' innescata la crisi
del 2008. La domanda a cui si vorrebbero collegare gli
auspici per il nuovo anno ormai prossimo, l'anno del Dragone
in Cina, e' quando e fin dove l'avvitamento innescato dalla
crisi continuera' ad operare e quali saranno le risorse da
impiegare e le strategie da implementare affinche' tale
circolo cambi direzione e da vizioso diventi virtuoso.
La maggior parte degli analisti suggerisce che il 2012 sara'
per alcuni versi un anno ancor peggiore del 2011, ma se
questo lasso di tempo sara' colto nel modo opportuno e
soprattutto se si vorra' considerare le azioni che chi opera
nel mercato globale sara' costretto ad implementare, qualche
novita' potrebbe pur sempre prospettare, novita' che di fatto
se estese in vari settori e vari luoghi potranno determinare
un cambiamento nel processo di globalizzazione fin qui
visto. In altri termini, il processo di globalizzazione e
delocalizzazione di parte della propria attivita' di una
qualsiasi impresa richiede alla base due condizioni
necessarie: la prima e' che il livello della domanda nei
mercati finali di riferimento in cui si opera dei beni da
essa prodotti giustifichi i nuovi investimenti; la seconda e'
che l'azienda che decide di delocalizzare abbia le capacita'
finanziaria ed organizzative adeguate. In un momento di
forte crisi come quello attuale, entrambe queste condizioni
vengono meno ovvero possono essere ritenute sufficienti solo
da pochi. Quindi il processo di globalizzazione riguardera'
solo i piu' "forti" ed in assoluto subira' un rallentamento
(peraltro gia' in atto nel corso del 2011). Sara' meno "moda"
e piu' una strategia pensata ed opportunamente valutata dagli
effettivi pay back degli investimenti da farsi.
Ma la novita' piu' rilevante credo possa essere un'altra, che
in parte gia' si configura e che potrebbe essere poi, se
confermata, un meccanismo che possa far scattare
l'inversione del ciclo e quindi dare prospettive virtuose
all'economia globale. La forte crisi della domanda di beni e
servizi soprattutto nei mercati maturi (Europa e Usa) mette
in crisi lo schema classico della delocalizzazione che cosi'
tanto ha giovato alla crescita della Cina ed altri Paesi:
imprese estere che investono nei Paesi a basso costo per li'
produrre e poi esportare e vendere nei mercati ricchi, il
piu' delle volte proprio i loro Paesi d'origine. Il
depauperamento di questi Paesi interrompe il circuito (nella
sua parte finale di certo, ma anche come descritto sopra
nella sua parte iniziale di scelta di nuovi investimenti)
indebolendo peraltro anche la struttura industriale e
produttiva negli stessi Paesi ricchi e sviluppati (o meglio
una volta, non piu' ora). Si assiste quindi all'incessante
chiusura di aziende ed un generalizzato aumento della
disoccupazione. A fianco a cio' ed in contemporanea (ed in
termini assoluti almeno in parte), si assiste alla vigorosa
crescita dei mercati locali di quei Paesi una volta
individuati esclusivamente come Low Costs Countries. Quindi
ora la delocalizzazione non e' piu' un investimento
strumentale (produrre a costi ridotti per poi esportare), ma
diventa un investimento finale, ovvero produrre li' dove si
vende (o si vorrebbe vendere) perche' la dinamica della
domanda lo permette. Si diventa "glocal", globali e locali
allo stesso tempo, perche' le risorse finanziarie ancor piu'
scarse oggi non consentono di investire in livelli adeguati
di scorte di beni intermedi o finali per una supply chain
lunga che attraversi piu' Paesi e continenti per poi essere
funzionale al mercato finale. La volatilita' e la fugacita' (a
volte) della domanda finale impone o sollecita l'indirizzo a
produrre il piu' vicino possibile li' dove si vende. E se
questo vale per la Cina, o per l'India, o per il Brasile,
vale per contro anche per l'Europa. E' qui che potrebbero
innescarsi nuove opportunita' anche per il tessuto
industriale locale oggi fortemente indebolito. E' qui che
dovrebbe concentrare la sua azione il sistema politico e di
Governo per dare supporto ed una chance ancora al nostro
sistema industriale. Perche' da ogni minaccia e disastro
incombente puo' nascere pur sempre una opportunita' ed una
nuova strada. Forse anche per un mondo migliore e piu'
equilibrato.

*Comitato Scientifico Osservatorio Asia

(RADIOCOR) 30-12-11 14:30:14 (0131)news 5 NNNN
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