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Ieri, il World uyghur congress - l'organizzazione mondiale che rappresenta la minoranza musulmana della regione cinese dello Xinjiang - ha organizzato una manifestazione europea a Berlino contro le nuove misure adottate dal governo cinese per frenare l'escalation di violenza di questi giorni. «Siamo duemila persone e manifestiamo pacificamente - dice al telefono Isa - noi sappiamo di non essere come i tibetani: loro hanno il vantaggio della guida del Dalai Lama, che suscita il coinvolgimento della comunità internazionale. Anche se quello che subiamo da oltre sessant'anni è simile a quanto succede in Tibet. La nostra lingua è stata vietata nelle università, il tentativo è di azzerare la nostra cultura, forse perché gli interessi economici di Pechino nella regione del Turkestan (così gli uiguri chiamano lo Xinjiang ndr) sono fortissimi».
Si riferisce alla colonizzazione forzata dei cinesi di etnia han, che pian piano si sono spostati a Urumqi - capitale dello Xinjiang - e in tutta la regione. Un'area che rappresenta la seconda fonte di produzione cinese di petrolio (27,4 milioni di tonnellate di greggio l'anno), che fornisce un terzo della produzione nazionale di gas naturale (24,1 miliardi di metri cubi l'anno), dove si trova oltre il 40% delle riserve nazionali di carbone e uno dei più grandi giacimenti cinesi di uranio. «La nostra è una delle regioni più ricche del pianeta - prosegue Isa - ma le risorse sono estratte e trasportate in Cina senza che gli uiguri possano trarne alcun profitto». Dolkun Isa afferma che se «il 5% di queste risorse energetiche venisse investito per la popolazione locale, migliorerebbe sicuramente anche il quadro socio-politico».
La situazione è drammatica e si riflette anche nei rapporti all'estero: «Non ci sono contatti tra uiguri e cinesi emigrati, a meno che questi non siano dissidenti contro il governo di Pechino».
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11/07/2009
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