« Pechino manipola lo yuan»
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« Pechino manipola lo yuan»

« Pechino manipola lo yuan»

Stati Uniti. Il presidente attacca la Cina e ricorda che le regole devono essere uguali per tutti
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NEW YORK
La Cina manipola la propria valuta e «fa giochetti» con il sistema di scambi commerciali. Barack Obama non ci pensa due volte e alza il tiro contro Pechino, colpevole di avere tratto vantaggio economico dalla debolezza di altri Paesi. «Tutti devono giocare secondo le stesse regole», ha detto ieri il presidente americano dalla Casa Bianca nella sua prima conferenza stampa da luglio. L'apprezzamento dello yuan «non è ancora sufficiente» e questo rende le esportazioni cinesi più economiche, quelle americane più care: una concorrenza sleale insomma, e una risposta altrettanto dura a Pechino che aveva sparato a zero sulla proposta di legge che penalizza l'export cinese al vaglio del Congresso americano. Per Obama la sponda è importante anche sul piano politico interno: se le cose vanno male, da un parte è colpa della Cina e dall'altra dell'Europa.
La crisi nel Vecchio Continente, infatti, «può danneggiare anche gli Stati Uniti», i maggiori venti contrari vengono proprio da lì, ha detto ancora Obama. Per questo l'Unione europea deve moltiplicare gli sforzi, deve agire in modo rapido e mettere a punto entro la riunione del G-20 a Cannes, il 3 e 4 novembre prossimi, «un piano chiaro e concreto» per arginare il rischio di contagio. Se la spirale della crisi si allargasse fino agli Stati Uniti, le conseguenze sarebbero gravi per un'economia già in forte difficoltà (nel secondo trimestre il Pil è cresciuto dell'1,3% e solo dello 0,4% nel primo).
Il pericolo maggiore è ovviamente il rischio di default di Atene, una possibilità che ha già creato «molta incertezza» e «sta pesando in modo significativo sul sistema finanziario globale». Obama si è rivolto in particolare al presidente francese Nicolas Sarkozy e al cancelliere tedesco Angela Merkel, chiedendo che continuino a impegnarsi attivamente «per fare in modo che la situazione non finisca fuori controllo». Ma l'azione deve appunto essere rapida, il tempo stringe e Obama non può permettersi di aspettare oltre. La campagna elettorale è già iniziata e i repubblicani incalzano.
Il presidente punta l'indice contro i suoi avversari, ma poi non arriva mai allo strappo. Come non ha preso una posizione decisa sulla "legge anti-Cina", come la si chiama a Washington, lasciando che la responsabilità del suo fallimento sia nel campo dei repubblicani. Era atteso nella notte di ieri il voto finale al Senato, ma la legge che penalizzerebbe fortemente l'export dei Governi che manipolano la propria valuta, Pechino in testa, non ha molte chance di essere approvata alla Camera: proprio ieri il presidente dell'assemblea John Boehner non ha esitato a definirla «pericolosa». Anche lo stesso Obama ha appunto preferito la cautela. La legge potrebbe non essere la soluzione migliore, ha detto, perché in un momento di crisi non giova «approvare testi dal valore simbolico», sapendo che potrebbero incontrare l'opposizione della Wto: «Le aziende americane si troverebbero soggette a una serie di nuove sanzioni» ha detto. E il presidente non può certo permettersi che questo succeda: con una disoccupazione inchiodata sopra il 9%, la perdita di altri posti di lavoro sarebbe un fardello insopportabile. Sono attesi per oggi i dati di settembre e, secondo gli osservatori, il tasso di disoccupazione dovrebbe restare fermo al 9,1%, con la creazione di 60mila posti di lavoro, nulla dopo il dato piatto del mese scorso.
E proprio di lavoro voleva parlare ieri Obama durante la conferenza stampa, per premere sull'acceleratore in vista del dibattito in Congresso la settimana prossima sulla proposta di legge-stimolo da 447 miliardi di dollari presentata a settembre. È il tema che più gli sta a cuore, perché l'economia è ancora «troppo fragile» e la ripresa «senza dubbio ha rallentato il passo». Ma il tempo stringe e trovare lo slancio giusto sembra al momento difficile.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

07/10/2011
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