« No a svalutazioni competitive»
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« No a svalutazioni competitive»

« No a svalutazioni competitive»

Le vie del rilancio - IL VERTICE DEL G-20
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GYEONGJU. Dal nostro inviato
Il G-20 ci ha provato. «Questa riunione mette la parola fine alla disputa sui cambi», ha dichiarato il ministro delle Finanze coreano, Jeung-Hyon Yoon. Il padrone di casa, si sa, per dovere d'ufficio deve sempre dire che il vertice che ha organizzato è stato un grande successo. Ministri finanziari e governatori si sono impegnati ieri a evitare «svalutazioni competitive» delle proprie monete e, se non hanno dato il via al piano americano per mettere un tetto agli squilibri dei conti con l'estero e frenare così l'export cinese, hanno però dato mandato al Fondo monetario perché metta a punto un sistema di indicatori, una sorta di campanello d'allarme per dar modo di individuare e ridurre gli squilibri eccessivi. L'annuncio della riunione di Gyeongju ha l'obiettivo di evitare che la diatriba sulle valute possa creare problemi ai mercati e all'economia reale e soprattutto che possa dar sbocco a misure protezionistiche, che trasformino la guerra dei cambi in una guerra commerciale.
Poi, naturalmente, la riprova dell'efficacia delle decisioni non sta nelle enunciazioni dei protagonisti a fine riunione, ma nell'andamento dei mercati non solo alla riapertura di domani, ma soprattutto nelle settimane successive. Quelle appena trascorse si sono appena consumate nella "guerra dei cambi": dollaro trascinato al ribasso dagli annunci della Federal Reserve, Cina che accelera di pochissimo l'apprezzamento dello yuan, mantenendolo comunque abbondamente sottovalutato, euro preso in mezzo e spinto al rialzo, gli altri emergenti costretti a massicci interventi o all'introduzione di controlli valutari per evitare i danni di afflussi di capitale troppo ingenti da assorbire.
Il compromesso di Gyeongju parla invece di muovere verso un sistema di tassi di cambio «determinati dai mercati» e che riflettano i fondamentali delle economie. Nel momento in cui ciascuno accusa l'altro di «manipolazione»: gli Stati Uniti nei confronti della Cina (anche se, per ora, senza rendere ufficiale l'accusa, che darebbe il via a ritorsioni commerciali), la Cina e il Giappone nei confronti degli Usa. Una posizione cui si è accodato ieri il ministro dell'Economia tedesco, Rainer Brüderle. «L'iniezione di liquidità da parte della Federal Reserve - ha detto il ministro tedesco, che sostituiva il suo collega Wolfgang Schaeuble - è una indiretta manipolazione del cambio».
Il segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, non ha eluso la discussione. «Gli Stati Uniti riconoscono - ha affermato Geithner - che hanno una responsabilità speciale di sostenere il dollaro come moneta di riserva». Il capo del Tesoro americano continua anche nel suo lavoro di diplomazia nei confronti della Cina: dalla Corea va direttamente a Pechino per tenere vivo il dialogo con le autorità cinesi. Con la sua proposta di limitare i surplus (e i deficit) delle partite correnti al 4% del prodotto interno lordo, Geithner ha tentato di portare sul terreno di confronto più ampio degli squilibri globali la discussione sui cambi, che finora ha condotto a un infruttuoso muro contro muro. Diversi osservatori, anche qui a Gyeongju, si chiedono cosa succederà alla politica dell'amminisrazione Obama nei confronti della Cina dopo le elezioni di midterm fra dieci giorni, quando è probabile che i repubblicani si impadroniscano della maggioranza in Congresso, accentuando la pressione sull'esecutivo.
Indirettamente a difesa della politica monetaria americana, è intervenuto il governatore della Banca del Canada, Mark Carney, rilevando che il riferimento nel comunicato alla «vigilanza contro l'eccessiva volatilità e i movimenti disordinati dei cambi» è un'espressione ricorrente nei documenti del G-7 e del G-20 e non va interpretato come una reprimenda alle politiche dei paesi avanzati. Quel che è più interessante, Carney, che è uno dei pochi partecipanti alle riunioni del G-20 con una vasta esperienza di mercati finanziari (ha trascorso buona parte della sua carriera alla Goldman Sachs), ha sostenuto che le decisioni del G-20 non alleviano del tutto le sue preoccupazioni che le tensioni sui cambi possano avere un effetto negativo sulla crescita globale, già ora piuttosto anemica negli Stati Uniti e in Europa. «Sono stati fatti dei progressi - ha detto Carney - ma voglio vedere la messa in atto dello spirito dell'accordo e politiche coerenti con questo accordo. E ci vorrà tempo». Per definire queste politiche, i tecnici presenteranno un piano d'azione, l'ennesimo, che sarà varato dai leader del G-20 al prossimo summit di Seul.
alessandro.merli@ilsole24ore.com
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24/10/2010
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