Pechino, 12 mar. - Ancora un botta e risposta tra Pechino e Washington: dopo le dichiarazioni rese ieri da Barack Obama, il vicegovernatore della Banca centrale cinese Su Ning ha invitato oggi gli Stati Uniti a "non politicizzare" il tema dell'apprezzamento dello yuan. "Crediamo che una modifica del tasso di cambio dello yuan non serva ad aumentare o diminuire i nostri surplus e deficit commerciali" ha detto Su a margine dei lavori dell'Assemblea Nazionale del Popolo. "Non siamo d'accordo su una politicizzazione della questione dell'apprezzamento dello yuan - ha dichiarato ancora il vicegovernatore - così come non siamo d'accordo sul fatto che una nazione metta in campo i suoi problemi e dopo pretenda che vengano risolti da un'altra nazione". L'aspra risposta di Su arriva a stretto giro di posta dopo il discorso pronunciato ieri dal presidente americano in occasione della visita dell'Export-Import Bank a Washington: "I paesi con alti deficit esterni devono esportare e risparmiare di più, mentre quelli con un elevato surplus commerciale con l'estero devono aumentare i consumi e la domanda interna. Come ho già sostenuto in altre occasioni, una riforma della Cina verso un tasso di cambio maggiormente basato sul mercato fornirà un contributo essenziale agli sforzi per un riequilibrio globale" aveva detto Obama. La questione della valuta cinese si conferma come uno dei principali punti di frizione tra Stati Uniti e Cina, e non solo: lo yuan/renminbi è una divisa non convertibile, che il Dragone ha di fatto nuovamente ancorato al dollaro nella tarda primavera 2008 - alle prime avvisaglie della crisi globale - dopo un lungo periodo in cui la moneta era stata guidata verso un apprezzamento graduale. Da tempo Washington e Bruxelles accusano Pechino di mantenere lo yuan artificialmente svalutato, una politica che garantisce un vantaggio sleale alle esportazioni cinesi e, nello stesso tempo, frena le importazioni dall'estero; la Cina, da parte sua, continua a sostenere la necessità di uno yuan "sostanzialmente stabile" - posizione ribadita recentemente dal premier Wen Jiabao nel corso dei lavori dell'Assemblea Nazionale del Popolo- , anche per proteggere la nazione da un massiccio afflusso di capitali speculativi. Un punto di frizione estremamente importante, ma certamente non l'unico: negli ultimi mesi, infatti, si è assistito a continue schermaglie tra il Dragone e l'Aquila statunitense su questioni che vanno dalla vendita di armi USA all'isola di Taiwan – che Pechino reclama come parte integrante del proprio territorio - all'incontro tra Barack Obama e il Dalai Lama, fino al caso Google. "Una nuova cortina sulla libertà d'informazione sta calando su una larga porzione del mondo" aveva dichiarato il segretario di Stato Hillary Clinton nel gennaio scorso, dopo le accuse di pirateria informatica rivolte alla Cina dal colosso del web; un discorso pronunciato in una sede molto evocativa come il Newseum di Washington, dai toni sinistramente simili a quelli dell'epoca della guerra fredda che, secondo molti osservatori, aveva sancito la libertà su internet come una nuova voce dell'agenda politica estera americana. Polemiche che continuano a divampare su altri fronti, anche alla luce del rapporto annuale sui diritti umani in 194 paesi pubblicato giovedì dal Dipartimento di Stato, nel quale si critica apertamente la Cina insieme a Cuba, Myanmar, Corea del Nord e Russia, sostenendo che il Paese di Mezzo stia addirittura assistendo a un'involuzione nel rispetto dei diritti basilari. Accuse, ovviamente, rispedite al mittente con un rapporto analogo affidato all'agenzia di Stato Xinhua: "Non solo gli USA hanno un tremendo registro interno di violazioni dei diritti umani, ma sono anche la principale fonte di molti disastri umanitari a livello mondiale - si legge nel dossier - ma, specialmente in un momento in cui il pianeta sta sperimentando diverse catastrofi sul fronte dei diritti umani a causa della crisi finanziaria globale, innescata proprio dall'America con la crisi dei mutui sub-prime, ecco che il governo statunitense ignora i suoi stessi gravi problemi interni, e insiste nell'accusare altri paesi". Alla fine dell'anno scorso Barack Obama aveva dichiarato che le relazioni tra Cina e USA "daranno forma al XXI secolo". Ma la guerra verbale tra l'Aquila e il Dragone non dà segni di tregua.
di Antonio Talia