« Google rispetti le nostre leggi»
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« Google rispetti le nostre leggi»

« Google rispetti le nostre leggi»

Internet e libertà - LA REAZIONE DI PECHINO
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Luca Vinciguerra
SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Quarantotto ore dopo la ribellione di Google alla censura cinese, Pechino prende finalmente posizione sulla querelle con il portale americano.
«Siamo favorevoli all'ingresso di società internazionali nel settore di internet, a patto però che rispettino le leggi cinesi», ha detto ieri un portavoce del ministero degli Esteri. «In Cina la rete internet è aperta e il governo sostiene il suo sviluppo, cercando di creare un contesto favorevole» ha aggiunto Pechino.
Qualsiasi riferimento a Google è puramente casuale. La nomenklatura, punta sul vivo dalla minaccia del colosso californiano di abbandonare il mercato cinese dopo essere stato oggetto di ripetuti attacchi perpetrati da misteriosi hacker, preferisce non restare invischiata in una polemica diretta con Google. E ribadisce coram populo la sua linea di pensiero sulla libertà d'informazione: l'industria dei media può muoversi a suo piacere entro determinati paletti, ma chi esce dal recinto è fuori dal business.
Anche se il braccio di ferro è tra la società californiana e il governo cinese, la questione sta assumendo contorni di confronto politico tra Pechino e Washington. Ieri sera la Casa Bianca ha ribadito che sta dalla parte di Google nella richiesta di eliminare la censura nelle ricerche online. Lo ha sottolineato il portavoce Robert Gibbs aggiungendo che il presidente Barack Obama crede nell'applicazione e nel rispetto dei diritti di tutti in tutti i paesi.
Ma come fa una rete a essere libera, come ha sottolineato ieri Pechino, se il suo raggio d'azione è limitato in un recinto? E qual è il perimetro di questo recinto? È impossibile rispondere a queste domande utilizzando le categorie classiche del pensiero occidentale e del liberalismo politico. Si arriverebbe alla conclusione più scontata, e cioè che, come tutti regimi totalitari del mondo, anche quello cinese fonda il suo potere sull'esercizio della demagogia più spinta.
Ma le cose non stanno esattamente così. Nella sua storia, ogniqualvolta si è aperta, volente o nolente, al mondo esterno, la Cina si è puntualmente trovata di fronte al medesimo problema: come tenere unito un popolo, un paese, un'etnia di fronte all'apertura della propria economia agli scambi internazionali.
Oggi come un secolo fa, gli investimenti e le tecnologie straniere se da un lato generano nuova ricchezza, dall'altro finiscono per acuire gli squilibri economico-sociali interni. Tutta colpa della geopolitica: le grandi città e la fascia costiera, integrandosi naturalmente nell'economia globale, traggono enormi benefici dall'ingresso degli investitori stranieri; mentre le altre zone del paese (in particolare l'Ovest), essendo lontane dai mercati di sbocco, devono accontentarsi delle briciole.
Tocca a chi comanda tenere il sistema in equilibrio. È così che, qualche anno fa, mentre il gigante asiatico era in piena transizione dal comunismo pianificatore al socialismo di mercato, la nomenklatura ha tirato fuori dal cilindro un nuovo dogma: la "democrazia con caratteristiche cinesi". Internet libera dentro i paletti della legge è un corollario di questo ambiguo concetto di democrazia coniato da Pechino.
«Oggi in Cina le riforme e lo sviluppo economico hanno raggiunto un punto cruciale e hanno aperto un periodo di drammatici conflitti sociali. In questo quadro, il controllo delle opinioni che circolano in rete è un'azione necessaria per proteggere la sicurezza dell'informazione su internet» ha detto ieri Wang Chen, ministro dello state council information office per replicare al caso Google.
Semplificando: dopo ven t'an ni di sviluppo tumultuoso, oggi la Cina è diventata la società più ineguale del pianeta; ma non è il caso di sbandierare la cosa su internet. Così facendo, infatti, si metterebbero a rischio la sicurezza e la stabilità sociale del paese. È questa la ragione per cui, ben prima che scoppiasse il caso Google, Youtube, Facebook, e Twitter sono state oscurate oltre la Grande Muraglia.
Dietro la vicenda, tuttavia, potrebbero nascondersi anche guerre industriali. Lo hanno sostenuto ieri alcune voci negli Stati Uniti secondo cui gli attacchi informatici denunciati da Google potrebbero far parte di una campagna più ampia mirata a rubare segreti industriali e spiare attivisti per i diritti umani. «Si tratta di un'ondata di attacchi strutturati» ha detto Jeff Moss, consigliere del dipartimento di Sicurezza interna americano. «L'obiettivo della Cina è quello di recuperare tutte le informazioni degne di interesse - ha proseguito - pertanto non mi stupisce che vogliano raggiungere anche gli utenti di Google».
La società di Mountain View ha detto l'altro ieri di avere «scoperto un attacco molto sofisticato e mirato contro le sue infrastrutture proveniente dalla Cina e che è risultato in una violazione di proprietà intellettuale». Altre 20 società americane in Cina sarebbero state violate.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

15/01/2010
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