« Gli Usa frenano il Doha Round»
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« Gli Usa frenano il Doha Round»

« Gli Usa frenano il Doha Round»

INTERVISTA Pascal Lamy Direttore generale della Wto
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Alessandro Merli
MILANO
La crisi globale non ha provocato guerre commerciali, ma non ci si può sentire al sicuro finché la situazione dell'occupazione non comincerà a migliorare, cioè per almeno uno o due anni. Intanto, il tentativo di chiudere il Doha Round per liberalizzare il commercio mondiale si scontra con la lentezza dell'amministrazione Obama nel definire la propria posizione. Pascal Lamy, direttore generale della Wto, l'organizzazione mondiale del commercio – a Milano per inaugurare l'anno accademico alla Bocconi – mostra fiducia sul contenimento della pressioni protezionistiche, ma è cauto sui primi segnali di ripresa degli scambi internazionali.
La Cina bolla come protezionista la posizione americana. Gli Usa, l'Unione europea e il Messico aprono una disputa alla Wto contro la Cina. Le tensioni protezionistiche che lei nei mesi scorsi ha definito «a bassa intensità» si stanno aggravando?
Pubblicheremo a fine mese un nuovo rapporto sul monitoraggio delle restrizioni al commercio. Non ho ancora visto le cifre finali, ma sarei stupito che mostrassero una diagnosi più grave dei precedenti. Storicamente, c'è una correlazione fra azioni di difesa commerciale e ciclo economico. Per ora, siamo nella media. Anzi, le statistiche che abbiamo appena raccolto sulle dispute commerciali mostrano circa 20-30 casi l'anno. Nel 2009 siamo ben al di sotto. E di per sé le dispute non frenano gli scambi. Anzi, il beneficio del sistema Wto è che le confina entro i limiti del confronto legale. Non c'è segno di guerre commerciali, anche se è un termine che piace.
Ma l'aumento della disoccupazione, negli Usa e altrove, è destinato a provocare una reazione protezionistica?
Non possiamo dirci al sicuro finché non migliorerà la situazione dell'occupazione e per questo ci vorranno ancora almeno uno o due anni. La politica commerciale dei governi è molto condizionata dall'andamento del mercato del lavoro. Per questo dobbiamo mantenere una vigilanza costante. Il rischio di una reazione a catena, che da una ritorsione all'altra porti a un'esplosione, esiste, fino a che non ne sparirà la possibile causa.
La crisi è stata accompagnata da un collasso del commercio mondiale, anche se gli ultimi dati mostrano segni di ripresa. Come vede i prossimi mesi?
C'è stato qualche miglioramento da metà anno, ma bisogna interrogarsi sulla sua sostenibilità. Nella ripresa degli scambi c'è un fattore tecnico legato al ciclo delle scorte, ora che la produzione è ripartita su diversi paesi. È troppo presto per dire se la ripresa continuerà.
A fine mese a Ginevra c'è una riunione dei ministri. Quali sono le prospettive di un rilancio del Doha Round, dopo il fallimento dell'anno scorso e dopo l'impulso politico a chiudere entro il 2010 ricevuto dal G-20 di Pittsburgh?
C'è una discrepanza fra la scadenza e l'attività di negoziato a Ginevra. Pittsburgh ha dato nuova energia e qualcosa bolle in pentola, ma non so se sarà pronto per essere servito in tavola entro fine 2010. La ministeriale cade a un anno da questa scadenza. Vorremmo progressi più rapidi, ma sappiamo che nei negoziati internazionali i tempi non sempre si adeguano alle necessità: lo vediamo sul disarmo o sui cambiamenti climatici.
Ma sulla sostanza della trattativa è difficile vedere passi avanti. E il commercio internazionale sembra esser diventato una priorità secondaria per governi affannati dalla crisi.
Restano in ballo la questione delle salvaguardie speciali per i prodotti agricoli dei paesi in via di sviluppo, che bloccò il negoziato nel luglio 2008, ma l'atteggiamento del nuovo governo indiano sembra ben diverso da allora. E poi i sussidi Usa al cotone, la riduzione dei dazi sui prodotti industriali da parte dei paesi emergenti. Non sono temi facili, ma i punti sui quali c'è già intesa rappresentano il grosso del contenuto economico del round. Sulla bassa priorità attribuita al commercio non sono d'accordo: nel G-20 i paesi emergenti, che hanno più da guadagnare dalla conclusione del round, sono ben rappresentati e nel G-8 non lo erano.
Ha citato l'India. Anche gli Usa, l'altro contendente dello scontro del 2008, hanno cambiato amministrazione.
Gli Usa si stanno mostrando lenti nell'arrivare a una posizione negoziale chiaramente articolata. Si diceva allora che l'ultimo anno di un amministrazione non è propizio, poi che il primo anno di una nuova amministrazione richiede tempo per mettersi in moto. Ma il problema è che nel 2010 ci saranno le elezioni di mid-term. Il commercio mondiale, che ha evitato finora l'onda protezionista che poteva venire con il ciclo economico, non riesce insomma a sottrarsi al ciclo politico americano.
A pag. 25
L'innaugurazione dell'anno accademico della Bocconi
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10/11/2009
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