"Esercizi di Rieducazione", di Kang Zhengguo, edito da Laterza, pp. 474, 22 euro
Tradotto da Serena Zuccheri
Roma, 23 apr.- Moderna e antica; democratica e antidemocratica; arretrata e progredita; questi e mille altri sono gli epiteti – spesso contrastanti - usati per descrivere la Cina: un Paese immenso, ricco di cultura e storia, difficile da inquadrare. E forse è proprio per questo è facile cedere nella tentazione di voler schematizzare una realtà fin troppo complessa e, sulla base di alcuni elementi, ricavarne un giudizio tagliato con l'accetta, del tutto positivo o del tutto negativo. Ma per quanto lontana geograficamente e culturalmente, la Cina non è così diversa dagli altri Paesi e, come tutti, ha vissuto periodi di grande splendore – tra i quali forse potremmo inserire quello attuale – e periodi bui. Ed è proprio quest'ultimo che fa da sfondo alle vicende autobiografiche raccontate da Kang Zhengguo nella sua ultima opera"Esercizi di rieducazione". Agichina24 ha intervistato la traduttrice del libro, la sinologa Serena Zuccheri, che descrive così il protagonista: "Kang è un uomo coraggioso che dopo aver vissuto sulla propria pelle i capovolgimenti politici della Cina, dalla fondazione della Repubblica Popolare nel 1949 agli incidenti di Piazza Tian'anmen nel 1989, decide di lasciare il proprio paese e ricominciare una nuova vita in America".
Il titolo sintetizza una realtà che per anni ha rappresentato la quotidianità di molti, un destino imposto dall'alto cui non ci si poteva sottrarre. "Nel corso della sua vita Kang Zhengguo è costretto più volte a rieducare il proprio pensiero, a rinnegare le sue origini 'borghesi', ad abbandonare la sua passione per la letteratura e la formazione accademica, e a conformarsi alle nuove direttive politiche, ideologiche e culturali emanate dal Partito Comunista Cinese (PCC). La rieducazione ideologica di Kang Zhengguo segue le regole del tempo: espulsione dall'università, confessioni scritte, autocritica, processi pubblici e spedizione nelle campagne, in campi di lavoro, a svolgere lavori manuali e a studiare contemporaneamente l'unica ideologia permessa: quella del Grande Timoniere, Mao Zedong. Il processo rieducativo di Kang è fatto di tutto questo, di un esercizio costante per cercare di 'correggere' la sua condotta morale, una fatica estenuante" continua Serena Zuccheri.
Quello di Kang Zhengguo non è un caso isolato: "tutte le storie degli studenti cinesi di quegli anni per molti versi si assomigliano per il fatto di essersi svolte sotto il segno delle varie campagne di critica o di educazione di massa che si sono succedute come ondate fino al punto di far perdere la testa, di ridurre al silenzio i testimoni, di creare alla fine una connivenza tra carnefici e vittime. E questa connivenza ancora è di ostacolo oggi, in Cina, al libero fluire della narrazione di quegli anni che non furono, come qualcuno sostiene, «grandi e terribili» ma soltanto terribili" racconta la sinologa Renata Pisu nella prefazione al libro.
Un periodo delicato che ha creato una strappo tra gli intellettuali e i leader politici che solo durante il governo denghista, seppur difficilmente, è stato possibile ricucire. "Negli anni, il rapporto tra il PCC e gli intellettuali cinesi si è consolidato ed è stato possibile dibattere e dialogare del passato, concentrandosi sugli errori politici che avevano portato all'alienazione politica della Cina nel decennio precedente – spiega Serena Zuccheri -; si tratta di un consolidamento in cui però il PCC ha sempre avuto l'ultima parola, e questo ha comportato in diverse occasioni bruschi se non violenti arresti del dialogo tra le due parti. Il passato è criticabile ma nei tempi giusti e con le giuste misure. Credo che la propaganda in Cina sia ancora molto forte, altrimenti non sarebbe il Paese che è. Chi decide di non seguire le direttive del Partito, e di conseguenza la sua propaganda, esprime le sue perplessità in altri modi o lontano dal proprio paese di origine, magari scegliendo l'anonimato o correndo il rischio di dire la sua su temi che per la dirigenza politica cinese continuano ad essere dei nervi scoperti. Ma molto spesso in Cina il silenzio è la miglior arma di difesa". Un silenzio che però non coincide con un' "anestesia mentale", non è il silenzio di chi non si pone domande, di chi accetta passivamente gli eventi ma forse è quello di chi, nonostante abbia un atteggiamento analitico, preferisce tacere, in ricordo di quel periodo storico ancora troppo recente.
Ma quanti sono i cinesi che guardano la propria società con occhi critici?
Sono in molti a chiedersi se in Cina esiste o meno un coscienza civile che riguardi non solo gli intellettuali ma anche la gente comune, e una risposta è stata fornita dalla traduttrice di Esercizi di rieducazione: "Credo che ad oggi la dirigenza politica e gli intellettuali cinesi siano ben consapevoli degli sforzi fatti per recuperare gli errori del passato e per aver dato la possibilità al popolo cinese di vivere una vita quanto meno dignitosa. La società cinese ne è cosciente e forse è anche per via del miglioramento di vita acquisito che preferisce tacere". La Nuova Cina è molto diversa da quella di soli 20-30 anni fa, trasformata da importanti cambiamenti economici, politici e sociali. Cambiata al punto che forse appare irriconoscibile agli occhi di un cinese che molti anni fa è fuggito dal proprio Paese. Un distacco a volte necessario ma pur sempre doloroso di cui parla anche Renata Pisu al termine della sua prefazione: "È veramente una «sconfessione» totale della cinesitudine? Se il capitolo finale non fosse dedicato al futuro del loro figlio maschio (ndr. di Kang e della moglie) che decide di fare ritorno in patria, a Shanghai, con la sua laurea americana in Economia e commercio, così si potrebbe dedurre. Invece, il ciclo si rinnova in maniera fino a pochi anni fa impensabile. La cinesitudine si prolunga nell'ibridazione: per questo, per quel che vale, è salva". Un Paese e due percezioni quindi, quella di chi è emigrato e quella di chi è rimasto: "Il prezzo per essere diventata uno dei Giganti dell'Asia per alcuni è stato caro", conclude Serena Zuccheri, "Probabilmente chi ha deciso di rimanere ha saputo aspettare pazientemente di veder cambiare il proprio paese, e ora ne gode i frutti, nonostante la sofferenza provata e vissuta. Storicamente parlando, il passato è incancellabile, ma quello che oggi la Cina offre ai suoi figli può anche essere considerato una sorta di riscatto sociale. Lo stesso Kang Zhengguo probabilmente ne è consapevole quando, negli ultimi capitoli della sua storia, ci racconta di come suo figlio decida di ritornare in Cina per lavoro. La visione della Cina odierna che Kang Zhengguo percepisce attraverso gli occhi del figlio non è più catastrofica come un tempo".
di Sonia Montrella e Alessandra Spalletta
questo articolo è apparso anche su Giudizio Universale