### Borse cinesi: non e' tutto oro quel che luccica - TACCUINO DA SHANGHAI
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### Borse cinesi: non e' tutto oro quel che luccica - TACCUINO DA SHANGHAI

### Borse cinesi: non e' tutto oro quel che luccica - TACCUINO DA SHANGHAI

di lettura

di Michael Zheng, Jeff Zhou e Andy Wu*


(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Milano, 01 dic - La maggior
parte degli imprenditori a capo delle aziende cinesi nel
portafoglio dei fondi di Private Equity guarda smaniosamente
alla possibilita' di quotare il proprio gioiello sulle piazze
nazionali. In Cina i multipli p/e tendono a essere
decisamente piu' alti che a Hong Kong o negli Stati Uniti,
anche a causa delle differenti norme in ambito di
valutazione. In Cina, infatti, i prezzi vengono calcolati i
profitti attuali, mentre all'estero e' costume usare la
proiezione dei profitti futuri per l'anno successivo.
Il 2010 e' stato un'annata record in termini di ipo
realizzate sulle piazze cinesi. 72.3 miliardi di dollari
sono stati ammassati in 349 transazioni, registrando un
incremento strabiliante rispetto all'anno precedente (99
quotazioni per un totale di 27.5 miliardi di dollari). Il
ChiNext, board secondario dello Shenzhen Stock Exchange
inaugurato nel 2009, a mostrato uno sviluppo considerevole,
ospitando 117 nuove aziende e attraendo 14.6 miliardi di
dollari.
I multipli p/e sullo Shenzhen Stock Exchange si sono
attestati a 50x, mentre sulla piazza di Shanghai il valore
medio si e' aggirato intorno a 3x. Tale esuberanza ha
permesso alle aziende di attrarre somme considerevoli e ai
fondi di PE di realizzare rendimenti interessanti,
eclissando le altre modalita' di exit in termini di
desiderabilita'.
A questo punto sorge spontaneo chiedersi perche' una porzione
tutt'altro che marginale di operatori continui a prediligere
le piazze offshore.
Da un punto di vista strutturale, la risposta e' connessa al
fatto che i requisiti di ingresso per giovani aziende
private siano ben piu' restrittivi in Cina rispetto a quelli
vigenti negli Stati Uniti. La borsa di Shanghai impone
infatti un track record di 3 anni di profitti positivi e un
profitto aggregato di 30 milioni di Rmb (4.72 milioni di
dollari), escludendo oneri e introiti straordinari. Inoltre,
il reddito operativo deve superare 300 milioni di Rmb (47.2
milioni di dollari) o, in alternativa, i cash flow
cumulativi dalle attivita' operative devono eccedere 50
milioni di Rmb (7.88 milioni di dollari). Alle imprese
candidate viene imposto un livello di capitale minimo di 30
milioni di Rmb. In ultimo, e' necessaria la flottazione di
almeno 25% del capitale, a meno che l'ammontare aggregato
delle azioni quotate superi 400 milioni di Rmb (63 milioni
di dollari), nel qual caso la percentuale viene ridotta al
10%.
Un ulteriore ostacolo e' rappresentato dalla maggiore
difficolta' nell'implementare offerte secondarie sui mercati
azionari cinesi. L'emissione di nuovi titoli e' soggetta
all'approvazione della Csrc. Di conseguenza, se le
partecipate operano nell'immobiliare o nel settore
finanziario o hanno frequenti penurie di liquidita', e'
preferibili sfruttare le piazze straniere, ben piu'
accomodanti in questo ambito.
L'approvazione della quotazione e' spesso condizionata da
influenze politiche e dalle preferenze del governo in
termini di politica industriale. Le aziende di proprieta'
statale e quelle indirettamente supportate dalle autorita'
pubbliche tendono ad essere favorite in questo gioco, a
scapito di quelle private.
A livello di tempistica, lanciare un ipo in Cina significa
avventurarsi in un processo tutt'altro che immediato: 1 anno
di tutoraggio da parte degli sponsor, 2-4 mesi per la
preparazione della documentazione necessaria, 3 mesi per la
revisione da parte della Csrc, 1 mese per la realizzazione
del prospetto e, finalmente, la tanto agognata approvazione
da parte della Csrc entro 6 mesi dalla ricezione della
domanda di quotazione. L'intero processo si protrae dunque
per circa 2 anni.
In aggiunta, gli operatori di PE sono tendenzialmente
impossibilitati a disinvestire le loro partecipazioni anche
dopo che le partecipate vengono quotate (in certi casi
addirittura per 3 anni). Alcuni dei board cinesi, infatti,
impongono un periodo di lock-up obbligatorio e, ad ogni
modo, le clausole di lock-up sono ampiamente diffuse nei
contratti che disciplinano gli investimenti di PE. Tali
arrangiamenti risultano particolarmente onerosi per i fondi,
che, di norma, hanno una vita compresa tra i 5 e i 10 anni e
sono obbligati ad incassare i propri rendimenti una volta
raggiunta la maturita' dichiarata (salvo la concessione
dell'extra-time, la cui durata massima non puo' tuttavia
protrarsi oltre 1 anno).
Come e' possibile inferire dalle precedenti considerazioni,
la trade sale si impone come una scelta decisamente meno
ardua in termini di fattibilita'. Nel caso di una vendita
privata, l'exit e' immediata e completa. Conseguentemente,
malgrado i multipli P/E o ebitdax inferiori registrati in
media per queste transazioni, il Tir effettivo per i gestori
di PE puo' in alcuni casi essere migliore che in una
quotazione pubblica. Tale strategia consente infatti di
bypassare il rigoroso processo di accertamento della CSRC e
di evitare i rilevanti costi di transazione a esso connessi.
Agli ostacoli di natura strutturale elencati precedentemente
si aggiungo le recenti dinamiche congiunturali, che
minacciano di compromettere l'attivita' degli operatori di PE
nei prossimi 12 mesi. Le borse cinesi hanno sofferto perdite
ingenti durante i primi 3 trimestri del 2011, alimentate
dalla crisi del debito europea e dalle preoccupazioni per un
possibile double dip globale.


*Mandarin Capital Partners

(RADIOCOR) 01-12-11 15:44:24 (0276)news,FE,CINA,ASIA 5 NNNN
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