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«I dati sul Pil del secondo trimestre segnalano che il tasso di caduta sta rallentando. Si vedrà più avanti se il punto di minimo è nel secondo o nel terzo trimestre. Gli indici anticipatori dell'Ocse segnalano poi che entro sei-sette mesi ci sarà la ripresa. Per quanto riguarda l'Italia, segnali confortanti arrivano anche dalle esportazioni che mostrano un certo dinamismo verso i paesi meno colpiti dalla crisi come la Cina». Enrico Giovannini, da pochi giorni presidente dell'Istat, in questa intervista al Sole 24 Ore fa il punto sulla situazione congiunturale.
È vicina l'uscita dal tunnel?
Mentre alcuni mesi fa erano pochi i paesi – e tra questi c'era l'Italia – in cui gli indici Ocse davano qualche segnale positivo, oggi quasi tutti marciano nella stessa direzione. Ma che cosa c'è dopo il segno positivo? Uno zero virgola o qualcosa di più consistente? Non dimentichiamo che il Pil del secondo trimestre 2009 è al livello del quarto trimestre 2001, quello successivo all'attentato alle Torri Gemelle. La ripresa partirà dunque da un livello basso. Occorrerà tempo per recuperare i livelli di reddito, occupazione, produzione precedenti la crisi.
A che cosa bisogna guardare per capirlo?
Molto importante è la propensione al risparmio delle famiglie che è in aumento dappertutto. Ma se questo sia un fenomeno temporaneo o in qualche misura strutturale, legato cioè a una mutata percezione del rischio soprattutto in quei paesi dove la crisi ha colpito duro sul valore della ricchezza, le case e le attività finanziarie, è troppo presto per dirlo. La velocità della ripresa sarà comunque influenzata dal ritorno delle famiglie al consumo e da un effetto moltiplicatore, questa volta positivo, derivante dal commercio internazionale. E qui molto dipende dai paesi emergenti. Anche il recupero della borsa è un segno di vitalità.
Un'incognita riguarda il mercato del lavoro: che cosa succederà in autunno?
L'Italia ha dimostrato di avere meccanismi di assorbimento che funzionano, la Cassa integrazione soprattutto, nel breve termine. Il problema è l'atteggiamento con cui gli imprenditori torneranno al lavoro dopo l'estate: se si consolideranno i segnali di ripresa, saranno stimolati a mantenere i livelli occupazionali, altrimenti i rischi per questi utlimi saranno consistenti. L'Istat intanto aveva già avviato, prima del mio arrivo, un progetto per fornire dati mensili, anziché trimestrali come ora, sul mercato del lavoro. È un passaggio importante perché governo e opinione pubblica avranno un termometro più tempestivo per capire quanto la crisi economica rischi di trasformarsi in crisi sociale.
Inflazione zero, dice l'Istat. E i consumatori sostengono che la realtà è diversa.
L'errore più grave che si possa fare è pensare che un singolo numero possa dar conto di tutto. Non possiamo interpretare la situazione delle imprese guardando solo alla produttività o solo al tasso di profitto. Lo stesso vale per le famiglie: non basta il livello dei prezzi a far capire qual è la loro situazione.
Quali altri indicatori sono importanti?
Il reddito disponibile delle famiglie è rimasto sostanzialmente stabile dal 2000 a oggi. Se vogliamo capire le ragioni, dobbiamo guardare come sono andate le retribuzioni, i prezzi, le imposte, i trasferimenti pubblici. Non si può dire che l'Istat non sa rilevare l'andamento dei prezzi perché le famiglie soffrono. L'impoverimento di certe categorie è documentato dall'Istat in modo inoppugnabile, utilizzando peraltro un'inflazione che è quella ufficiale.
Insomma i consumatori hanno torto?
È bene che gli utenti delle statistiche premano perché la qualità migliori. Ma vorrei ricordare che pochi anni fa, ai tempi dell'euro, qualcuno sosteneva che l'inflazione "vera" era al 20%: se questo dato fosse stato esatto, il reddito reale sarebbe dovuto cadere del 17, dico 17, per cento. Oggi che c'è una caduta del 5% tutto il paese ne parla e i segnali di crisi sono abbastanza evidenti in tutti gli indicatori: basta pensare alle vendite di automobili che certo non mostrarono dinamiche analoghe negli anni successivi all'introduzione dell'euro. Quindi, stiamo bene attenti. E ricordiamoci che l'inflazione comunicata dall'Istat è una media: se guardiamo ai dati settoriali, ci accorgiamo che l'andamento è molto differenziato. In molti settori il segno è più, anche a luglio. I prezzi dei servizi crescono costantemente del 2% più dei manufatti. L'inflazione core, al netto dell'energia e degli alimentari non lavorati, non è a zero ma ben sopra l'1 per cento. Non è bello che lo dica il presidente dell'Istat ma Trilussa aveva ragione: se io mangio un pollo e tu nulla, la media ci dice che ne abbiamo mangiato metà per uno, ma la statistica non è fatta solo di medie. È fatta anche da misure della distribuzione e delle diseguaglianze, come quelle che l'Istat usa per valutare la povertà e l'andamento dei prezzi dei diversi prodotti.
La statistica è sotto accusa perché non insegue le percezioni: uno scompenso che può far traballare la convivenza democratica.
Certo. Ho apprezzato molto l'articolo di Giuliano Amato sulla riforma sanitaria di Barack Obama (Il Sole 24 Ore del 9 agosto, ndr). Oggi il problema è ricondurre a coerenza i mondi dei media e della comunità politica, che funzionano secondo logiche non necessariamente basate sull'evidenza che viene dai dati. Amato sintetizza bene: propaganda contro dati. In questo quadro qual è il ruolo della statistica ufficiale? È chiaro che da sola non può vincere: o è l'intera società che sceglie di organizzare il dibattito intorno ai dati oppure vince chi strilla di più, chi porta più aneddoti, chi è più convincente quando dice "a me sembra che". Bisogna rifletterci: è un problema di fondo delle democrazie nella società dell'informazione.
Riuscirà l'Istat a fare il censimento dell'agricoltura nel 2010 e della popolazione nel 2011?
Il governo è consapevole che il tempo stringe per approvare legge, finanziamenti, regolamenti. E che, secondo le norme comunitarie, l'inadempienza comporta multe salatissime, da centinaia di milioni. Oltretutto i risultati del censimento sull'agricoltura influenzano direttamente le politiche comunitarie: se il dato non è aggiornato, scattano altri tipi di sanzioni e gli altri paesi non fanno sconti a chi non fornisce dati aggiornati.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
14/08/2009
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