Roma, 30 set.- Confermata la battaglia verde di Pechino contro i cambiamenti climatici. Il Paese rinnova il suo impegno sul taglio alle emissioni di Co2. Lapromessa arriva da uno dei più alti funzionari del settore energetico: il vicepresidente della commissione per le Riforme e lo Sviluppo nazionale cinese(CNDRC) Xie Zhenhua che ha dichiarato che l'impegno a 'ripulire' la Cina sarà uno dei puntichiave del Dodicesimo piano quinquennale, 2011-2015. E la battaglia, secondoXie, si sta combattendo su più fronti. Da tempo il governo sta cercando disensibilizzare le coscienze dei cinesi ai problemiambientali e, per spronare la società a cambiare alcune abitudini in fattodi consumo energetico, ecco pronti degli strumenti legali dei quali si serviràl'esecutivo, ma sui quali Xie non ha anticipato nulla. Le più 'colpite' tuttaviasaranno le industrie tradizionali per le quali sono previsti progetti diammodernamento per renderle meno inquinanti.
L'obiettivo stabilito a Copenhagen è quello di ridurre del40-45% lacosiddetta 'intensità carbonica' -cioè il rapporto tra PIL ed emissioni dannose - entro il 2020. Il discorso 'verde' non è più rinviabile, laquestione della riduzione delle emissioni e delle rinnovabili è diventata ormaiun must, ma la strada, secondo Xie, è tutt'altro che in discesa. "Per raggiungerequesto traguardo la Cinadovrà compiere sforzi considerevoli. I problemi più semplici sono già statirisolti con l'Undicesimo piano quinquennale. I prossimi dieci anni sarannomolto più duri dei precedenti. Raggiungere gli obiettivi prefissati non è cosìsemplice", ha dichiarato il funzionario. Nel frattempo Pechino ha rubato un doppioprimato agli Stati Uniti: quello del Paese più inquinante e – secondo quantoemerge da un rapportotargato Ernst & Young dal titolo "Renewable EnergyCountry Attractiveness Indices" – quello del più attraente per investirenelle energie rinnovabili. Se sono innegabili gli investimenti del Dragonenelle energie verdi – a fine lugliosono stati stanziati oltre 500 miliardi di euro da utilizzare in progetti perlo sviluppo delle energie alternative – altrettanto innegabile è la sua 'voracità'.
Le statistiche elaborate dall'IEA – l'agenzia internazionale con base a Parigi che misura i consumi energetici mondiali – mostrano che l'anno scorso Pechino hadivorato l'equivalente di 2252 milioni di tonnellate di petrolio, il 4% in piùdegli Stati Uniti, che si sarebbero invece "limitati" a 2170 milioni ditonnellate. Per quanto riguarda le emissioni, sempre nel 2009 la Cina ha raggiunto i 7,5miliardi di tonnellate. Ma, al contrario degli Stati Uniti e delle altrenazioni industrializzate, la Cinagode di una sorta di "diritto ainquinare" in quanto Paese in via di sviluppo. Un diritto di cui il Dragonesi è avvalso anche a Copenhagen rifiutando di sottostare ad impegni vincolantie gettando scompiglio: "Le nazioni industrializzate e i Paesi emergenti hannoresponsabilità storiche molto diverse nei cambiamenticlimatici e sugli attuali livelli di emissioniinquinanti, e si trovano anche in fasi dello sviluppo molto distanti traloro. Per queste ragioni, anche le responsabilità e gli obblighi nella lotta ai cambiamenti climatici vannodifferenziate", aveva dichiarato il ministro degli Esteri Yang Jiechi,facendosi portavoce della posizione ufficiale del governo.
E a questo stesso diritto Pechino non sembra ancorapronto a rinunciare. Le nazioni sviluppate devono provvedere finanziariamente etecnicamente ad andare in soccorso dei Paesi in via di sviluppo e a sostenerlinella loro battaglia ai cambiamenticlimatici, ha ribadito Xie Zhenhua sottolineandoche, nonostante la forza economica, la Cina è a tutti gli effetti un Paese in via di sviluppo – nonsviluppato – che deve continuare apuntare sull'economia per migliorare le condizioni di vita della società. Unaposizione che forse sarà ribadita la prossima settimana a Tianjin, dove siterrà un meeting delle Nazioni Unite considerato già da molti un incontropreparatorio al vertice che si terrà a Cancun e in cui la Cina è già stata data comePaese più influente al centro delle negoziazioni.
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