Pechino, 20 gen. – Il Pil della Cina decolla. Nel 2010 il prodotto interno lordo del gigante asiatico è cresciuto del 10,3 per cento, l'1,1% in più che nel 2009 (9,2%). La crescita economica della Cina è superiore alle attese degli economisti che la collocavano al 10,1 per cento. "L'anno scorso la Cina ha consolidato la sua economia e incoraggiato la ripresa globale – ha dichiarato Ma Jiantang, direttore dell'Ufficio Nazionale di Statistica -, ora bisogna puntare su una crescita stabile". Si tratta del dato più alto dopo la crisi finanzia internazionale del 2008 e conferma l'ascesa cinese. Il Pil della Cina aveva superato quello del Giappone già nel secondo e terzo trimestre del 2010 e l'annuncio odierno dovrebbe consentire a Pechino (quando il Giappone annuncerà i suoi dati a febbraio) di confermare il suo status di seconda economia più grande dopo gli Usa. Le cifre sono state annunciate proprio in coincidenza con la visita del presidente cinese Hu Jintao a Washington; un tempismo, quello adottato da Pechino, quasi a indicare uno sfoggio di muscoli da parte del Dragone. A dispetto della controversia legata al surplus commerciale, il messaggio che la Cina sembra voler lasciar passare è che la sua economia non sembra dipendere in modo massiccio dalle esportazioni. Gli investimenti e i consumi domestici incidono per 9,5% sulla sua crescita, mentre le esportazioni hanno contribuito solo per lo 0,8%.
Ma se i dati sul PIL confermano la forza dell'economia cinese, quelli sull'inflazione sono meno incoraggianti. A dicembre i prezzi al consumo sono aumentati infatti del 4,6%, un calo rispetto al 5,1% di novembre, ma in crescita rispetto al 4,4% di ottobre. Il risultato si situa ben al di là della soglia del 3,5% che il governo intendeva mantenere come media per la fine dell'anno (questo articolo). Una condizione che incide in larga misura sul portafoglio dei cinesi che hanno visto aumentare notevolmente il prezzo dei beni alimentari, alcuni dei quali hanno registrato un aumento del 25% negli ultimi mesi. Secondo molti economisti, inoltre, il tasso d'inflazione salirà ancora nei prossimi mesi quando alle avverse condizioni ambientali andranno ad aggiungersi fattori 'stagionali' quali le festività per il capodanno cinese che daranno il via a una corsa agli acquisti.
Nell'ultimo anno la Cina ha introdotto diverse misure per contenere l'inflazione. In particolare, nell'arco del 2010, People's Bank of China ha aumentato di ben sei volte i requisiti di riserva obbligatoria delle banche, allo scopo di impedire agl'istituti di credito di erogare prestiti in eccesso e drenare così la troppa liquidità in circolazione. Nel 2009, infatti, secondo i dati ufficiali, le banche cinesi hanno aperto nuove linee di credito per 9590 miliardi di yuan (circa 1100 miliardi di euro, al cambio attuale), gran parte dei quali sono stati destinati ad investimenti nel settore immobiliare. Contemporaneamente, il costo della vita ha registrato continui aumenti, soprattutto a causa dei rincari dei generi alimentari, e l'inflazione nel mese di novembre è salita del 5.1%, record assoluto degli ultimi 28 mesi. La Banca centrale di Pechino ha così aumentato per ben due volte i tassi d'interesse - a ottobre e a dicembre - di 25 punti base. Le misure restrittive adottate non hanno inciso sulla crescita dell'economia che avanza a vele spiegate; sono molti gli analisti che ritengono che il governo di Pechino potrebbe varare una nuova ondata di restrizioni al fine contenere l'inflazione. Un nuovo aumento del tasso d'interesse, fanno sapere dalla HSBC, potrebbe vedere la luce già prima del Capodanno cinese che avrà inizio il 3 febbraio. Un'ipotesi che non trova conferma nelle previsioni He Yifeng, analista presso la Hongyuan Security, secondo cui l'aumento è già stato fissato per la fine di marzo e gli inizi di aprile.
Altri analisti suggeriscono invece che per mettere un freno al fenomeno il Dragone dovrebbe acconsentire a un maggior apprezzamento dello yuan/renminbi. Una valuta più forte garantirebbe alle compagnie cinese un maggior risparmio sull'importazione dall'estero di beni e di materie prime, mantenendo, così, i prezzi dei prodotti finiti bassi e tenendo a bada l'inflazione. Un'opzione che incontrerebbe i favori del governo americano che da tempo preme per un apprezzamento più repentino del RMB, il cui valore, sostengono a Washington, è sottostimato e crea concorrenza sleale (questo articolo)
di Sonia Montrella
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