Israele, Trump cambia la politica Usa. Ecco i 5 scenari possibili
ADV
ADV
Israele, Trump cambia la politica Usa. Ecco i 5 scenari possibili

Israele, Trump cambia la politica Usa. Ecco i 5 scenari possibili

di Cecilia Scaldaferri
Benjamin Netanyahu e Donald Trump (Afp) 
Benjamin Netanyahu e Donald Trump (Afp) 
ADV

La fine della politica estera Usa degli ultimi 45 anni

ADV
  • la minaccia iraniana,
  • l'incitamento all'odio insegnato nelle scuole palestinesi e
  • la necessità che ci sia un riconoscimento palestinese di Israele come Stato ebraico.

Da Trump messaggio anti-sionista?

Abu Mazen prova con messaggi distensivi verso Trump

Tutte le opzioni al momento per arrivare alla pace

  • Un solo Stato: binazionale, democratico, non contraddistinto come ebraico o arabo. Molti palestinesi sono d'accordo, e di recente anche il presidente israeliano Reuven Rivlin l'ha appoggiata, immaginando una confederazione formata da Israele e un'entità autonoma palestinese che ha gli stessi diritti ma non il controllo su confini ed esercito. L'idea però non fa sorridere in tanti in Israele. Anche con l'esclusione della Striscia di Gaza, la nuova entità sarebbe costituita quasi al 50% da arabi, mettendo fine al sogno sionista di uno Stato ebraico. La totale annessione della Cisgiordania non è allettante per l'estrema destra del ministro dell'Istruzione, Naftali Bennett, che preferisce una ripartizione, con il 60% dei Territori (la cosiddetta area C) e annesse colonie inglobati da Israele e la creazione di 'autonomie palestinesi' nello spazio che resta. Proposta inaccettabile per i palestinesi che rimarrebbero con una serie di 'bantustan' a sovranità limitata, non collegati territorialmente tra di loro.

  • Un accordo temporaneo: Di fronte allo stallo nel processo di pace, si fa strada la prospettiva di un'intesa parziale che possa dare ai palestinesi uno Stato sull'80% della Cisgiordania, con una sorta di accesso preferenziale o nuove regime per la Città Vecchia di Gerusalemme, rinviando al futuro altre questioni più scottanti, come il "diritto al ritorno" per milioni di discendenti dei palestinesi fuggiti nel 1948. Un'opzione che potrebbe incontrare il favore anche del governo conservatore di Netanyahu ma non dei palestinesi, preoccuopati che l'intesa diventi da temporanea a definitiva e immutabile nel tempo.

  • L'opzione giordana: La Giordania ha avuto il controllo della Cisgiordania e di Gerusalemme Est dal 1948 fino alla Guerra dei Sei Giorni nel 1967 e ha tuttora una forte discendenza palestinese al suo interno. Fattori che portano alcuni a ritenere che la Giordania possa giocare un ruolo nel soddisfare le aspirazioni nazionali palestinesi, riprendendo il controllo solo su una parte della Cisgiordania. Questo, però, avrebbe profondi conseguenze sulla casa regnante hashemita (tra i pochi ad aver fatto la pace con gli israeliani), senza contare che i palestinesi rifiutano in blocco l'idea.

  • Ritiro parziale unilaterale: alla metà degli anni 2000, il governo di Ehud Olmert aveva proposto un piano per un ritiro graduale dai Territori palestinesi, sulla scia della Striscia di Gaza, lasciata nel 2005. La presa del potere nell'enclave palestinese da parte di Hamas, e i missili che da allora periodicamente si abbattono sullo Stato d'Israele con conseguenti guerre-lampo dagli alti costi umani, ha però segnato una battuta d'arresto. Si teme infatti che questo scenario possa ripetersi in Cisgiordania, più grande e più vicina alle città israeliane. Più forte e sentito è il dibattito interno sullo sgombero dei coloni da alcune aree della Cisgiordania, per rendere applicabile una reale spartizione del territorio, in attesa di un accordo futuro su cui però non è chiaro chi dovrà vigilare.

  • Status quo: la situazione attuale è mutevole e in continua trasformazione. In particolare, Israele negli ultimi tempi ha accellerato il processo di colonizzazione della Cisgiordania. Va in questo senso la legge votata di recente dal Parlamento che regolarizza retroattivamente gli insediamenti su terreni privati palestinesi. Sono circa 350mila i coloni in Cisgiordania e 500mila quelli a Gerusalemme Est. In questa situazione di tensione e stallo, dall'ottobre del 2015 è nata un'ondata di violenze sporadiche da parte di 'lupi solitari' palestinesi che attaccano con il coltello o cercano di investire pedoni con auto o camion. Decine le vittime israeliane e centinaia quelle palestinesi.

ADV