Fuori dal consolato giapponese di Busan, in Corea del Sud, troneggia una statua in bronzo: una ragazza con i capelli a caschetto e con un vestito lungo fino ai polpacci siede su una sedia; ha i piedi nudi, le mani poggiate sulle gambe e proietta dietro di sé l’ombra di un’anziana signora. Sembra un’opera d’arte del tutto innocua, eppure è potente, al punto di creare incidenti diplomatici tra Tokyo e Seul e di mettere a rischio i rapporti commerciali tra i due Paesi. La donna in questione, non è una qualsiasi: rappresenta tutte le “donne di piacere” - comfort women – rapite e rese schiave del sesso dai soldati giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale. Un capitolo storico doloroso per i coreani e umiliante per i giapponesi.
Tokyo richiama i suoi diplomatici
A gennaio, qualche settimana dopo la sua comparsa, Tokyo ha definito “deplorevole” la statua e richiamato l’ambasciatore giapponese in Corea del Sud e il console generale a Busan. In risposta all’attacco sferrato dai coreani, il governo giapponese, inoltre, ha bloccato i colloqui già in programma sugli scambi monetari e rimandato il vertice economico.
Un indennizzo di 7 milioni di euro per chiudere i conti
Nel 2015 Seul e Tokyo sembravano sul punto di chiudere definitivamente il capitolo buio. Il premier Shinzo Abe aveva promesso di risarcire con 7 milioni e mezzo di euro le donne sopravvissute e le loro famiglie. In cambio il Giappone chiedeva la “risoluzione definitiva della questione”. Poi, a ottobre dello scorso anno, Abe ha replicato secco alla richiesta di scrivere una lettera di scuse: “Non ne abbiamo alcuna intenzione. Non è contenuto negli accordi”.
Ma quante erano le schiave del sesso?
Secondo le stime, oltre 200mila tra donne e ragazze in Corea, Taiwan, Cina e Thailandia, sono state ridotte in schiavitù dai soldati dell’esercito nipponico durante il secondo conflitto mondiale. Nei territori dell’Estremo Oriente occupati dalle truppe di Tokyo la prostituzione era comparsa già nel 1932. Poi col tempo ‘l’arruolamento’ delle donne nei bordelli attraverso la coercizione, la forza e la detenzione divenne una consuetudine.
Dai piedi all'ombra, tutti i simboli della statua
Forgiata dagli artisti Kim Seo-kyung e Kim Eun-sung, la statua è molto simile a quella che si trova dal 2011 di fronte all’ambasciata giapponese a Seul. Più di 30 repliche sono collocate in varie città in Corea del Sud, Australia e Usa. L’opera è carica di rimandi e si significato: a iniziare dall’uccellino posato sulla spalla della donna, simbolo di libertà; fino alle piante dei piedi leggermente sollevate da terra per indicare la precarietà delle vite delle vittime. L’espressione del viso è arrabbiata per i torti subiti, ma lo sguardo è quello di una donna che ha fiducia nel futuro. La sedia vuota, sempre in bronzo, accanto alla statua, permette ai visitatori di sedersi di fianco alla vittima per mettersi nei suoi panni.