Davos - Da tempio global a palcoscenico social. Davos cambia e sbandiera il nuovo ‘brand’: Social-Wef, Forum-economico-mondiale-etico-sociale. La kermesse annuale sulle nevi dei Grigioni in Svizzera chiude i battenti della sua 47esima edizione e il ‘restyling' è completo. Ma la sostanza cambia poco. Fuori dal resort sciistico il gap tra i ricchi e i poveri, i conflitti tra i popoli e le guerre commerciali restano. E il futuro non fa ben sperare: l’era di Trump inizia, l’Europa si sfalda e i populismi avanzano. E mentre l’Occidente perde sempre più smalto, la Cina è sempre più rampante.
L’allarme dell’Oxfam e il ‘brainstorming’ dei potenti
Il rapporto Oxfam sulla diseguaglianza sociale è un classico della vigilia di Davos, quest’anno però è atterrato nel resort sciistico più indigesto che mai: otto uomini d’oro possiedono la stessa ricchezza della metà più povera del pianeta, vale a dire 3,6 miliardi di persone. Un problema grande per un summit tradizionalmente passerella dei Paperoni mondiali, da Bill Gates a Lakshmi Mittal (il re mondiale della siderurgica) fino a Wang Jianling (l’uomo più ricco della Cina), tutti ‘filantronpi’ certo, ma sempre depositari della ricchezza mondiale.
Di gap ricchi-poveri hanno iniziato a parlare tutti e ‘crescita sostenibile’ è stata una delle frasi più pronunciate del summit. "L’uguaglianza è su tutte le bocche qui a Davos – ha detto il ministro svedese delle Finanze, Magdalena Andersson – può essere che stia diventando una moda”. In effetti dal direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, al ministro Pier Carlo Padoan, al segretario dell’Ocse Angel Gurria, tutti hanno parlato di indigenza globale. “Una piaga” l’ha definita il segretario della Lega Araba Amre Moussa. Contributi concreti sono arrivati dalle ‘star’ presenti al Forum, la cantante colombiana Shakira e l’attore Matt Demon che all’educazione dei bambini e alla distribuzione di acqua hanno dedicato tempo e risorse economiche. Shakira ha anche lanciato un appello: “Dovremmo usare il meglio i cervelli del mondo degli affari per intervenire e raddrizzare gli equilibri”.
Dalla Cina ai populismi passando per Trump: i 5 tormentoni di Davos
Sono in tutto cinque i temi chiave della Davos 2017. Oltre a crescita inclusiva e povertà, al primo posto assoluto, si elencano la Cina, Brexit e populismi, la tecnologia e infine il grande assente, Donald Trump. Il neopresidente è stato molto ben rappresentato dal suo consigliere, il rampantissimo Anthony Scaramucci, la cui presenza al Forum è stata uno ‘spot’ del nuovo leader Usa “unico capace di parlare alla gente”.
Moises Naim, Trump si scontrerà con la 'sindrome di Guantanamo'
Ma è stato il presidente cinese Xi Jinping il vero eroe della Davos 2017. Presentatosi come il ‘salvatore’ della globalizzazione Xi, primo presidente cinese a mettere piede al Wef, ha giocato il ruolo dell’anti-Trump: “La mondializzazione non è responsabile dei problemi del mondo”. Con lui ha tenuto la scena il ‘patron’ di Alibaba, Jack Ma, che da Davos ha annunciato una partnership con le Olimpiadi fino al 2017.
Al terzo posto in classifica il referendum inglese e le ondate di dissenso in tutta Europa. Parole chiave pronunciate da tutti i potenti sono state ‘disillution’, ‘insatisfaction’, ‘no’. Per la prima volta anche il movimento M5S è sbarcato al Wef con la deputata Carla Ruocco che ha partecipato a un panel sui populismi insieme al leader dei ‘grillini’ finlandesi, Timo Soimi. Il segretario generale dell’Ocse, il messicano Angel Gurria, ha poi lanciato la sua provocazione: se nel mondo ci sono 240 miliardi di dollari di tasse eluse, gran parte dalle multinazionali, come può la gente credere e avere fiducia? Ma momento clou è stato quello di Theresa May. La premier paladina della Brexit è salita sul palco di Davos presentando ufficialmente la sua ’Gran Bretagna Global’, campione futuro, fuori dall’Europa, del commercio mondiale. Un’uscita che non è piaciuta a qualche veterano dell’Europa come il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, che l'ha accusata di voler fare la mondializzazione facendo diventare Londra un grande paradiso fiscale.
Quarto posto la tecnologia e i robot, protagonisti della Quarta rivoluzione industriale. Alcuni esperti hanno da questo previsto la perdita di un milione di posti di lavoro nel mondo. Per l’economista Moises Naim non è la globalizzazione bensì proprio l’avvento della tecnologia la vera piaga sociale.
Infine Trump. Davos si è chiusa nel giorno del suo insediamento ma, già da settimane prima il Wef aveva evocato più volte la nuova era statunitense. Valanghe di commenti e di domande su di lui nei panel e qualche stoccata di pregio. Come quella del finanziere George Soros che, senza mezzi termini ha definito il nuovo leader Usa “un impostore, un imbroglione e un potenziale dittatore”. Ma da molti ospiti del Wef è arrivato un messaggio rassicurante: dopo l’insediamento Trump cambierà, bisogna aspettare che abbia un ruolo istituzionale. Forse un senso di colpa ha avuto la meglio. Lo scorso anno nel sondaggio finale di consenso di Davos si prevedeva che il candidato repubblicano non si sarebbe spinto oltre la soglia delle primarie del partito, perchè troppo fragile. Quasi una beffa ora chiudere il sipario nel giorno della sua incoronazione.