di Paolo Dodero
Londra - E' iniziato oggi all'ambasciata dell'Ecuador a Londra, dove rimane asserragliato dal giugno 2012, l'interrogatorio di Julian Assange da parte degli inquirenti svedesi, che dal 2010 conducono un'inchiesta per violenza sessuale plurima a carico del co-fondatore e leader di Wikileaks. E' la prima volta in cui Assange ha l'opportunità di fornire la propria versione dei fatti, e del resto è stato proprio lui a sollecitare il faccia a faccia con gli emissari di Stoccolma, che secondo il suo legale Per Samuelsson potrebbe prolungarsi per parecchi giorni. L'incontro, protrattosi inizialmente per circa cinque ore, segna il culmine di una complicata trattativa diplomatica tra Quito e Stoccolma, sfociata in un accordo che prevede sia il ministero della Giustizia del Paese scandinavo a fornire l'elenco delle domande da sottoporre all'inquisito, ma che a formularle materialmente e a raccogliere le risposte sia un magistrato ecuadoriano, Wilson Toainga, presente al colloquio per tutto il tempo insieme, almeno per la prima giornata, all'ambasciatore Carlos Ortiz e allo stesso Samuelsson.
Dalla Svezia sono arrivate il procuratore aggiunto Ingrid Isgren e l'ispettrice di polizia Cecilia Redell. Se l'interessato acconsentirà, intendono tra l'altro prelevargli un campione di Dna. Nessuna ha comunque voluto rilasciare la benché' minima dichiarazione all'uscita dalla legazione, circondata come sempre da un massiccio dispiegamento di forze dell'ordine, per impedire un'eventuale fuga di Assange, e nell'occasione anche di giornalisti, operatori, fotografi e manifestanti. Sull'andamento delle indagini, le due si sono limitate a ricordare Isgren e Redell, vige per legge la massima riservatezza.
Sul 45enne giornalista e programmatore informatico australiano incombe l'ordine di cattura emesso quattro anni fa dalla Svezia, che ne sollecita l'estradizione sebbene tre delle quattro imputazioni a suo carico siano nel frattempo cadute, essendo intervenuta ad agosto la prescrizione. Quello che Assange teme, e non solo lui, è che Stoccolma finisca poi per consegnarlo agli Stati Uniti, dove sarebbe costretto ad affrontare accuse di ben altra portata, quanto meno sulla carta passibili persino della pena capitale.
"Io sono molto speranzoso. Oggettivamente, non sussistono dubbi che tutto sia andato come sostiene il mio assistito", ha commentato il suo avvocato. "Liberate Assange!" e "Non fermerete Wikileaks!" erano le scritte campeggianti su striscioni e cartelli sbandierati da un drappello di dimostranti. E ancora: "Gli amanti della libertà nel mondo intero ti dicono grazie, Ecuador!"
Paradossalmente, la scappatoia per l'attivista australiano potrebbe rivelarsi un'altra, una petizione a suo favore diffusa on-line attraverso il sito specializzato change.org, nella quale si chiede al neo-presidente americano eletto Donald Trump di sollevare Assange da ogni addebito, concedendogli quel salvacondotto che l'amministrazione Usa uscente gli ha sempre negato. Dopo tutto, ma questo nessuno lo ammette, il tycoon ha 'beneficiato' dell'ultima impresa di Wikileaks, vale a dire la recente divulgazione di decine di migliaia di e-mail riferibili a esponenti di primo piano del Partito Democratico, e in particolare della sua candidata Hillary Rodham Clinton. Si ignora ovviamente quale atteggiamento terra' Trump, ma nel frattempo l'istanza ha gia' raccolto piu' di 17.700 adesioni in meno di una settimana.