Roma - A trent'anni dal piu' grave disastro nucleare della storia, le ricadute di Chernobyl continuano a rappresentare una minaccia per l'Europa e per l'Italia, soprattutto nelle zone poco abitate, perchè alcune sostanze depositate dal pulviscolo radioattivo "possono ancora essere potenzialmente dannose". Ne è convinto Valerio Rossi Albertini, fisico nucleare del Cnr, che ha spiegato all'Agi come quello nucleare non sia "un incidente che si esaurisce nel tempo, ma persiste ed è subdolo perchè non è semplice andare a capire dove gli effetti andranno a colpire a distanza di anni". "Non ci si puo' ancora ritenere salvi", ha sottolineato Rossi Albertini in vista della ricorrenza del 26 aprile.
Nonostante l'incidente di Fukushima Daiichi del marzo 2011 sia classificato con il livello 7, il massimo della scala Ines dell'Iaea e lo stesso della centrale di Chernobyl, quest'ultimo - spiega il fisico nucleare - in realta' è stato molto piu' grave e le sue ripercussioni non sono state circoscritte all'area tra l'Ucraina e la Bielorussia. Subito dopo l'esplosione "si sollevo' una nuvola radioattiva di cui si accorsero gli scienziati scandinavi che si ritiene abbia comportato 40mila vittime nell'Europa occidentale". Il pulviscolo radioattivo che è stato sollevato in quella circostanza era costituito sa tanti componenti diverse: "A seconda della durata di attivita' alcune di queste sostanze non hanno piu' alcun effetto, altre invece possono ancora essere potenzialmente dannose".
Basti pensare - ricorda Rossi Albertini - al caso dei "cinghiali abbattuti nei boschi tra l'Italia e la Slovenia due anni fa che presentavano all'interno del loro organismo una concentrazione elevatissima di materiale radioattivo. Un episodio che fu ricondotto al disastro di Chernobyl di 28 anni prima". Il pulviscolo attivo che cadde 30 anni fa è, infatti, ancora presente anche sul suolo italiano e potenzialmente pericoloso, soprattutto in alcune zone poco inurbate dove le piante hanno trattenuto le sostanze nocive. Cio' dimostra che "a seconda delle condizioni meteorologiche in alcune aree a distanza di decenni il pericolo è ancora presente e incombente". Non solo: "il reattore numero 4 a cui è attribuita l'esplosione e quindi la diffusione del pulviscolo radioattivo è ancora caldo, come si dice in gergo. Ed è talmente tanto attivo - caldo appunto - che il primo sarcofago realizzato per contenere l'effetto delle radiazioni è stato spaccato, fessurato dalle stesse radiazioni che hanno rotto il cemento armato". Oggi i tecnici sono al lavoro "per costruire un secondo sarcofago a distanza di un paio di chilometri che poi attraverso un sistema di binari, una ferrovia, verra' spinto sul luogo". Un'ulteriore riprova che "il pericolo è generalizzato e le ripercussioni si estendo su un periodo di tempo che non è quello di giorni o mesi ma di decenni o secoli".
Tra le conseguenze piu' gravi c'è il picco di tumori. Un'indagine epidemiologica effettuata in Italia poco dopo il disastro mostro' un'insorgenza di forme tumorali caratteristiche dell'esposizione a sostanze radioattive. Primo fra tutti il cancro della tiroide perchè lo iodio radioattivo che è radionuclide, cioè un elemento attivato, che emette radiazioni tende a collocarsi nella tiroide. "Un'elevata concentrazione - spiega ancora il fisico - comporta sconvolgimenti delle funzioni organiche, risolvibili solo rimuovendo la ghiandola e assumendo per tutta l'esistenza ormoni artificiali che simulino il comportamento di quelli naturali prodotti dalla tiroide. Ma non sempre cio' basta: come nel caso documentato di un regista Rai che è venuto a mancare l'anno scorso. Era uno dei ragazzi Chernobyl, un toscano della provincia di Arezzo colpito da questa forma tumorale dopo essersi esposto in modo involontario al pulviscolo. Dopo un'operazione e oltre 20 anni in cui era riuscito a mantenere sotto controllo la diffusione delle metastasi e poi non ce l'ha piu' fatta". (AGI)