Una spiegazione della crisi diversa da quella della Fed

(di Geminello Alvi) - La pretesa teoria della "stagnazione secolare", inventata da Alvin Hansen nel 1938, e ripresa adesso dall'ex segretario al Tesoro Larry Summers, risulta contraddetta dai dati empirici di Labour reallocation and productivity dynamics: financial causes, real consequences pubblicato a fine d’anno dal dipartimento di ricerca economica della BRI. Con essa anche la pretesa di un eccesso di risparmio globale citata da Ben Bernanke vacilla, e l'alibi centrale della politica monetaria della Federal Reserve si dissolve. Lo studio della BRI fa venire insomma meno la giustificazione per tassi reali negativi di oggi.
Infatti i risultati dello studio “gettano nuova luce sulla ipotesi della stagnazione secolare (Summers, 2014), in base al quale gli Stati Uniti erano in carenza strutturale della domanda aggregata anche prima della crisi. I nostri risultati suggeriscono un meccanismo diverso, per cui la lenta ripresa dopo la grande crisi finanziaria è il risultato di un enorme boom e del seguente crollo, che hanno lasciato distorsioni durature sul tessuto economico” In altri termini se l'ipotesi della BRI è corretta, non vi è alcuna mancanza di domanda globale. Il mondo si trova di fronte un problema dal lato dell'offerta, non risolvibile con lo stimolo monetario; e l'intera strategia delle banche centrali mondiali si basa su una falsa premessa.
Non solo: boom del credito e dei prezzi delle attività possono crearsi, anche se l'inflazione dei prezzi al consumo è contenuta o addirittura in deflazione e anche in questo caso le conseguenze sono devastanti. “i risultati suggeriscono che quando si considerano le implicazioni macroeconomiche dei boom e dei crolli finanziari, è importante dedicare ogni attenzione non solo agli effetti di domanda aggregata. …. Piuttosto i supply side effect durante il boom e il crollo, che operano in particolare attraverso un'errata allocazione delle risorse, sono pure molto importanti.”
Comunque sia l'indebitamento totale è salito ora la picco storico di 265% del PIL nell'OCSE e al 185% nei mercati emergenti, 35 punti percentuali in più di quanto non fosse otto anni fa. Un effetto della politica monetaria che non può più pensarsi neutrale. “ … i risultati arricchiscono la nostra comprensione degli effetti di medio e lungo periodo della politica monetaria e della sua efficacia nell'affrontare le contrazioni finanziarie (Borio, 2015). Se una politica monetaria allentata contribuisce al boom del credito e questi boom hanno effetti di lunga durata se non permanenti, sull’output e la produttività, anche attraverso riallocazioni dei fattori, una volta che si verifica la contrazione, non è ragionevole pensare che la moneta resti neutrale in un orizzonte di lungo termine.”