Roma - Crescita e sviluppo, il paradigma che in Italia non c'è. Corruzione e scarsa etica nella politica e nel business. Per non parlare dell'occupazione, del Welfare e della qualità del sistema educativo. Un giudizio impietoso quello del World Economic Forum che emerge dall'ultimo "The inclusive growth and Development Report 2017" dove il Paese si colloca al 27esimo posto su 30 economie avanzate prese in considerazione, superato nel peggio solo dal Portogallo e dalla Grecia. Al primo posto della lista dei paesi più virtuosi in termini di 'crescita inclusiva', e non è una novità, la Norvegia, il Lussemburgo, la Svizzera e l'Islanda, con una Germania invece al 13esimo posto e una Francia al 18esimo. Unica consolazione gli Usa, anche loro in fondo alla classifica al 23esimo posto.
A far perdere colpi all'Italia, Paese membro del G7 che vanta i primi posti in termini di industrializzazione, non è la crescita di per sé, e neanche il Pil pro-capite, piuttosto la valutazione dell'Inclusive Development Index, Idi, indicatore economico di nuova generazione elaborato dal Wef che esamina non solo la ricchezza del Paese, ma la sua capacità di far quadrare la crescita con l'uguaglianza sociale, l'efficienza delle infrastrutture e dei servizi, la capacità di fare impresa in un ambiente favorevole e, soprattutto, in maniera etica. L'Idi divide i Paesi per grado di sviluppo (30 nazioni avanzate e 79 in via di sviluppo) e li valuta sulla base di 7 indicatori chiave: educazione e abilità; servizi e infrastrutture; corruzione; intermediazione finanziaria e investimenti in economia reale; imprenditorialità e creazione di asset; occupazione e compensazione del lavoro; trasferimenti fiscali e protezione sociale.
Usa esempio negativo. Tra i virtuosi la Cambogia e il Vietnam
Ad attestare la particolarità di una valutazione - che costituirà il leit motiv dell'annuale discussione dei leader mondiali al Forum di Davos che si apre martedì nel cantone dei Grigioni in Svizzera dal titolo 'Responsive and Responsible Leadership' (Leadership inclusiva e responsabile, ndr.) - è il risultato raggiunto soprattutto da alcuni paesi emergenti. Come La Cambogia, la Repubblica Ceca, la Nuova Zelanda, la Corea del Sud e il Vietnam. Questi infatti hanno ottenuto delle ottime performance in termini di Inclusive Development Index, superiori a quelle invece del loro Pil pro-capite. Al contrario invece gli Usa, Paese con un alto Pil pro-capite (al 9 posto in classifica), è invece risultato solo al 23esimo posto tra le economie avanzate, proprio per la totale mancanza di 'inclusività' nella struttura della sua economia. Stessa cosa per il Giappone, quasi in fondo alla lista al 24esimo posto, e per paesi emergenti ad alto tasso di crescita, come Brasile, Irlanda, Messico, Nigeria e Sudafrica. Da notare che al primo posto, in termini di inclusività, tra le economie emergenti, c'è la Lituania, seguita dall'Azerbaigian, dall'Ungheria e dalla Polonia.
Inclusività problema di oltre la metà delle economie mondiali
Dal rapporto del Wef emerge che la difficoltà di raggiungere una crescita inclusiva viene dal 51% delle economie prese in considerazione dove negli ultimi 5 anni l'indice Idi è sceso inesorabilemnte. In un 42% di casi inoltre ha continuato a registrare pessime performance anche in presenza di un aumento della crescita del Pil pro capite. Colpevole, spiegano gli esperti del Wef "l'ineguaglianza sociale" in aumento nel 77% delle economie prese in considerazione al tasso medio del 6,3%.
Nuovi modelli di crescita
Il Wef suggerisce ai governi di mettere in atto il prima possibile dei "nuovi modelli di crescita" basati soprattutto sull'aumento degli standard di vita dei cittadini e un nuovo modo di applicare le riforme strutturali. "C'è un consenso globale sul fatto di perseguire una crescita inclusiva ma è più indicativo che concreto" ha detto Richard Samans del Wef. "Per rispondere in maniera efficace alle nostre preoccupazioni le politiche economiche hanno bisogno di nuove regole, basate sugli standard di vita, su una nuova mappa mentale in cui le riforme strutturali vengano ripensate e riapplicate, proprio con questo obiettivo finale: una crescita che includa e che abbia benefici per tutti. E gli economisti non devono più pensare in termini di macroeconomia, supervisione finanziaria e politica commerciale".
Tra i nuovi modelli: nuovi sistemi per la distribuzione dei redditi; investimenti nella formazione del capitale umano; finanziamenti delle infrastrutture su base pubblico-privato; nuove norme per il libero commercio basate sulle 'best practice'. Ma soprattutto, in termini di conti pubblici, entra in campo 'l'equità tra le generazioni', ovvero ridurre il debito pubblico, macigno per le generazioni a venire. Per quanto riguarda infine la competitività questa per il Wef diventa un valore aggiunto: non a caso i paesi più competitivi sono anche quelli più 'inclusivi'.
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