Perché l’Italia cresce più del previsto (ma ancora non basta)

L'economia italiana non cresceva così dal 2010, ma resta fanalino di coda in Europa. E il recupero dell'inflazione rischia di frenare il volano dei consumi interni.

Perché l’Italia cresce più del previsto (ma ancora non basta)
 pil economia crescita valuta (afp)

Il dato sulla crescita del Pil italiano nel 2016 ha due facce. Da una parte la penisola si conferma il Paese dell’Eurozona con il tasso di espansione più basso: lo 0,9% rispetto al 2015. Ed è ormai da sei anni consecutivi che l’Italia non segna un aumento del Pil superiore all’1%. Dall’altra si tratta non solo di numeri superiori alle attese (il governo puntava a un +0,8%) ma anche del maggior incremento del Pil dal 2010, quando l’economia italiana crebbe dell’1,9%. La ripresa dell’inflazione potrebbe però preludere a un nuovo rallentamento, che creerebbe ulteriori problemi alla tenuta dei conti pubblici.

Il volano dei consumi interni

A trainare la crescita dell’Italia, come quella della Germania, sono i consumi interni. Le esportazioni, che erano state trainate dall’euro debole frutto della politica monetaria accomodante della Bce, l’anno scorso avevano infatti subito una frenata generalizzata in tutta l’unione monetaria a causa del rallentamento di colossi come la Cina. A trainare i consumi è sempre il deprezzamento dell’euro, che aumenta il reddito disponibile delle famiglie ed è stato, quindi, tra i fattori che hanno portato la produzione industriale a segnare a dicembre un altrettanto inaspettato incremento del 6,6% rispetto all’anno precedente. Si tratta però di una tendenza che potrebbe rivelarsi di breve respiro.

I rischi di un ritorno dell’inflazione

Il ‘quantitative easing’, il colossale piano di acquisto di titoli di Stato e obbligazioni avviato nel marzo 2015 dalla Bce, è prossimo a raggiungere il suo obiettivo principale: un ritorno del tasso di inflazione al 2%. Anche in questo caso l’Europa viaggia a due velocità. Lo scorso anno l’Italia ha registrato una variazione negativa dei prezzi al consumo per la prima volta dal 1959. In Germania, invece, il tasso di inflazione è tornato a sfiorare il 2%, mettendo in allarme i ‘falchi’ di Berlino, come il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, e il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble.

Una ripresa affidata principalmente ai consumi interni rischia di perdere slancio una volta che l’inflazione sarà tornata a crescere a ritmi normali, riducendo il potere d’acquisto delle famiglie. Va inoltre ricordato che il calo dei prezzi registrato negli ultimi anni era legato in buona parte al crollo delle quotazioni del petrolio, ora in decisa ripresa. 

 

 

Il peso dei fattori politici

“I fondamentali nell’Eurozona sono migliori di quanto non siano mai stati negli ultimi anni, ma non crediamo che questo ritmo di crescita possa essere mantenuto”, ha dichiarato Jack Allen, analista di Capital Economics, a Bloomberg, “l’inflazione si è ripresa ed eroderà il reddito disponibile dei consumatori e, il che è ancor più importante, il rischio politico influirà pesantemente sulla crescita”.

Non c’è nulla che gli operatori economici temano quanto l’incertezza. E il 2017 è un anno caratterizzato da rischi politici senza precedenti, dall’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, con tutte le incognite legate ai suoi programmi politici, all’avanzata dei partiti nazionalisti in Europa, che rischia di minare dalle fondamenta l’architettura della moneta unica.

Il nodo del debito

Un incremento dell’inflazione può essere di aiuto sul fronte dei conti pubblici, riducendo il valore dello stock di debito. Ciò è vero soprattutto in una fase di crescita sostenuta. A contare per l’Unione Europea, che ci chiede di correggere il bilancio, è però il rapporto tra il Pil e il deficit, tra l’espansione dell’economia e l’espansione del debito. Se l’aumento dei prezzi frenerà la crescita, quindi, i conti pubblici italiani potrebbero sforare ulteriormente i parametri di Maastricht. E, secondo il Fondo Monetario Internazionale, il nostro Paese non tornerà ai livelli pre crisi per almeno altri dieci anni. La vera spada di Damocle è però quella della crisi bancaria: con la bomba dei prestiti deteriorati ancora da disinnescare.