Nessun passo indietro sul deficit, ma neanche ritocchi alle stime di crescita per il 2019. E' il 'muro' di M5s e Lega sulla manovra. I due partiti avrebbero bocciato la proposta sostenuta dal ministro dell'Economia Giovanni Tria per venire incontro alla commissione europea che ha bocciato il documento programmatico di bilancio dell'Italia.
La risposta del governo italiano all'Ue, scrive il Corriere, è attesa entro martedì 13 novembre e dovrebbe arrivare dopo la riunione del consiglio dei ministri, in programma alle 20.Prima del Cdm dovrebbe tenersi un vertice ristretto a tre: Giuseppe Conte e i suoi due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini.
Per Salvini i fondamentali non si toccano
Ma fonti governative di entrambi i partiti respingono al mittente l'ipotesi che si possa tagliare la stima di crescita dell' 1,5% prevista dal governo per l'anno prossimo (mentre Bruxelles prevede l'1,2%). Le possibili modifiche alla manovra? "Chiedete al ministro Tria", ha sottolineato Salvini. "Per quello che riguarda i fondamentali - ha tagliato corto il ministro dell'Interno -, questi non si toccano. Così come i numeri di massima. Se uno, poi, vuole spostare una 'x' sugli investimenti dalla spesa corrente, allora parliamone pure. Ma la manovra non cambia solo perché Bruxelles ci manda le letterine".
Nessuna marcia indietro neanche sul deficit, aggiunge Repubblica. Il livello dell'indebitamento netto, spiegano le fonti, resterà al 2,4% l'anno prossimo. Su questo c'è accordo.
ll ministro dell'Economia Tria lo aveva detto già chiaramente in occasione dell'incontro con il presidente dell'Eurogruppo, Mario Centeno: i pilastri della legge di bilancio saranno confermati e per evitare la procedura d'infrazione Ue il governo non è disposto a mettere in campo una manovra di "restrizione fiscale suicida" perché l'Italia non è la Grecia, ricostruisce La Stampa.
Un interruttore automatico sulla spesa pubblica
Tuttavia, l'ipotesi è di introdurre una clausola ovvero un meccanismo automatico di taglio alla spesa pubblica per impedire che possa superare il tetto del 2,4% del deficit/Pil. In campo potrebbero tornare le tax expenditures, ovvero la giungla di agevolazioni fiscali su cui tutti i governi per anni hanno promesso tagli. Nel caso in cui l'esecutivo non riuscisse a centrare i suoi obiettivi, potrebbe scattare una sforbiciata agli sconti fiscali di cui usufruiscono aziende e famiglie, facendo salve le voci più sensibili come mutui e spese sanitarie.
L'altra carta che il governo sarebbe pronto a giocare è quella della flessibilità. Il Tesoro potrebbe appellarsi alle clausole previste dalle regole europee, a partire dalle spese eccezionali sostenute per il dissesto idrogeologico. Lunedì è stato anche il giorno dei 'vertici separati'. Salvini e Di Maio avrebbero dovuto incontrarsi in mattinata con Conte per sciogliere gli ultimi nodi sulla manovra, ma la delegazione leghista è arrivata in ritardo. E Di Maio ha dovuto lasciare il Palazzo per appuntamenti pregressi. Risultato: i due vicepremier si sono visti separatamente con Conte ed il vertice è slittato al rientro del premier da Palermo dove ha dato il via alla conferenza per la Libia.
Cosa rischia l'Italia
Se l'esecutivo dovesse rispondere senza modificare la manovra, si aprirebbe una fase molto difficile per i rapporti con la Commissione Europea. La prima tappa è fissata per il 21 novembre quando i commissari dovranno esprimere i giudizi sui diversi bilanci nazionali. Se il governo non avrà ottemperato alle richieste di modifica, il parere stabilirà che vi è una "deviazione significativa" dagli obiettivi di medio termine. Altro appuntamento importante è atteso per il 3 e 4 dicembre quando si riuniranno i ministri europei delle Finanze che dovranno pronunciarsi appunto su tali opinioni.
Cosa succederebbe al nostro Paese se ricevesse il cartellino rosso dall'Europa? Innanzitutto la Commissione dovrebbe stilare un nuovo rapporto sull'evoluzione del debito, e quindi inviare una raccomandazione al Consiglio europeo per chiedere l'apertura della procedura per debito eccessivo. Roma si troverebbe di fronte a un ulteriore 'invito', questa volta da parte del Consiglio, per cambiare la manovra o ad esempio varare delle misure correttive. Per farlo, avrebbe sei mesi di tempo (le regole prevedono anche tre mesi in casi gravi).
A quel punto, l'Italia rischia l'apertura di una procedura in relazione al mancato rispetto della regola di riduzione del debito nel 2017: in assenza di correzioni, la procedura scatterebbe per squilibri macro-economici, considerata la mole del debito (oltre il 130% del Pil) e non per deficit eccessivo in quanto il governo prevede comunque di restare sotto la soglia del 3%, cioè al 2,4%.
Cosa significa in termini pratici l'avvio della procedura: tutto dipenderà dal Consiglio scegliere se applicare o no all'Italia sanzioni economiche a meno che, all'interno del Consiglio stesso, non si crei una maggioranza qualificata di paesi membri contrari. In caso contrario, il nostro Paese potrebbe essere toccato da diversi tipi di sanzioni: le ammende sarebbero di tipo pecuniario sotto forma di un deposito fruttifero pari allo 0,2% del Pil (circa 800 milioni di euro) cui va ad aggiungersi una componente variabile determinata in base all'ammontare del deficit eccessivo, fino a un massimo dello 0,5% del Pil.
Verrebbero inoltre congelati tutti i finanziamenti per i progetti garantiti dai fondi Ue. Quindi dall'Europa potrebbe arrivare l'obbligo di fornire informazioni supplementari prima dell'emissione di titoli di Stato nonché l'invito alla Bei e alla Bce a stringere i cordoni della borsa e quindi a non concederci più prestiti. In extrema ratio, potremmo trovarci obbligati a costituire un deposito infruttifero fino al rientro del disavanzo.