Il “decreto dignità”, simbolo della politica del lavoro del governo Conte, è una “pessima legge”, che serve ad “arricchire gli avvocati” perché “aumenta i contenziosi e rende stupidamente più difficile la vita alle imprese”: in poche parole, “peggio di così era difficile fare”. A dare un giudizio così inappellabile sulla legge approvata l’estate scorsa è il fondatore e Ceo di Gi Group, multinazionale italiana del lavoro temporaneo, Stefano Colli-Lanzi. In un’intervista all’Agi definisce “sconcertante” che dopo un periodo di positivi passi avanti delle politiche nazionali per il lavoro sia stato approvato un decreto “che va nella direzione opposta” e che “non a caso ha provocato la fuga degli investitori internazionali: lo chiamo terrorismo normativo”.
Che cos’è Gi Group?
“Lo abbiamo fondata 20 anni fa e all’inizio ci lavoravamo in 10. Ora è una multinazionale con sede principale in Italia: siamo 5 mila e presenti in 28 paesi. Le persone che lavorano con un contratto “full time equivalent” ottenuto dalle nostre agenzie sono 120 mila. Il giro di affari è ora di 2,3 miliardi di cui metà realizzato all’estero, ma puntiamo a crescere nei prossimi 5 anni fino a 5- 6 miliardi: in questo arco di tempo, l’incidenza dell’attività all’estero (soprattutto nell’Europa dell’Est al momento) passerà al 70-80% del fatturato. Prevediamo di entrare in nuovi mercati, soprattutto in quello nordamericano”.
Recentemente avete annunciato due acquisizioni all’estero. Di che società si tratta?
“Il 21 novembre abbiamo acquisito Marks Sattin. E’ una società britannica, specializzata nel reclutamento di profili adatti al settore finanziario, con sedi a Birmingham, Dublino, Leeds, Londra, Manchester e Reading e un organico di oltre 100 collaboratori. Un mese prima avevamo acquisito un’altra società attiva soprattutto nell’Europa dell’Est, Grafton, con lo stesso tipo di specializzazione. Le due operazioni testimoniano la volontà del gruppo di investire in quei servizi dove è centrale la capacità di costruire un rapporto qualitativo e duraturo con il candidato e di rafforzare sempre di più la posizione internazionale del gruppo per bilanciare le attività locali che rischiano di essere penalizzate dall’attuale scenario politico, economico e normativo”.
È per questo che puntate soprattutto sulla crescita all’estero per il vostro futuro?
“Non andiamo all’estero per le difficoltà italiane, ma perché è logico farlo. L’Italia è il nostro paese e vogliamo essere leader. E’ un paese interessante per il mercato del lavoro, è un mercato ricco e smart per le multinazionali, ma questo governo, in particolare questo decreto approvato a luglio e poi diventato legge è una pessima legge, che arricchisce gli avvocati con l’aumento dei contenziosi. Mentre noi cerchiamo di semplificare i processi e ridurre la conflittualità, questo decreto va nella direzione opposta su tutti questi elementi, rendendo stupidamente difficile la vita delle imprese senza aggiungere garanzie o valori alle persone. Peggio di così era difficile fare: è sconcertante questo passo indietro a fronte di una evoluzione che stava portando a una direzione positiva, un trend che a medio-lungo termine ci stava portando a una situazione positiva. Il mercato italiano della flessibilità era ritenuto il secondo migliore al mondo dagli operatori internazionali. Non a caso a questo tipo di provvedimento e ad altri è seguita la fuga degli investitori internazionali”.
Qual è oggi il ruolo delle agenzie per il lavoro?
“Il lavoro temporaneo esiste da 70 anni e noi da venti: siamo ancora giovani. La carenza di profili e di competenze rende l’intervento delle agenzie di intermediazione quanto mai opportuno. Sia le imprese che i lavoratori devono essere aiutati a trovare rispettivamente competenze e orientamenti. Le agenzie diventano così operatori essenziali per sviluppare il mercato del lavoro attraverso servizi di valore, sia per le aziende che per le persone, che sono più tutelate, con un contratto a termine, se hanno al proprio fianco un’agenzia. È più utile investire le risorse che servono a sostenere chi è in difficoltà nel lavoro piuttosto che nel sussidio. Altroché precariato: il servizio svolto dagli intermediari sta diventando assolutamente necessario allo sviluppo del paese economico e anche professionale e personale delle persone. Non capirlo è quantomai negativo in un momento in cui si è acuita questa necessità: è come se stessimo guardando il mercato con lo sguardo di 20 anni fa”.