Mentre si fa sempre più concreto il rischio di un 'no deal', ovvero di un'uscita disordinata del Regno Unito dalla Ue, il mondo della finanza, che i rischi cerca sempre di prevenirli, sta già correndo ai ripari. Secondo un rapporto della società di consulenza EY citato dal Financial Times, le società di servizi finanziari hanno già spostato dalla Gran Bretagna ai Paesi dell'Unione Europea attività per 800 miliardi di sterline (circa 888 miliardi di euro) in fondi, operazioni e personale. Il fenomeno non è legato solo al timore che il divorzio tra Londra e Bruxelles si consumi senza un accordo, scenario che avrebbe conseguenze economiche difficili da prevedere. Anche qualora l'intesa stretta tra Theresa May e la Ue venisse approvata dalla Camera dei Comuni, la City finirebbe in ogni caso per giocare un ruolo meno centrale nell'architettura finanziaria globale, a favore di hub come Francoforte e Parigi.
Una cifra modesta. Per ora
Il rapporto prende in esame quanto pubblicamente dichiarato dalle 222 maggiori società di servizi finanziari con sede a Londra. I numeri reali potrebbero quindi essere più elevati. Non tutte le compagnie che hanno elaborato piani di contingenza per un 'no deal' hanno infatti comunicato l'ammontare dei fondi già spostati. "Le società di servizi finanziari non hanno altra scelta che continuare a prepararsi a uno scenario di uscita senza accordo", spiega Omar Ali, direttore dei servizi finanziari di EY per il Regno Unito, "si tratta di numeri ancora modesti rispetto alle attività totali, che solo per il settore bancario britannico ammontano a quasi 8 mila miliardi di sterline, ma che potrebbe aumentare mano a mano che ci avviciniamo alla Brexit".
I nuovi hub favoriti dalla Brexit
Ma dove sono state spostate queste attività? Alcuni fondi hanno spostato i beni dei clienti in Lussemburgo per proteggerli, laddove le banche hanno trasferito parte dei servizi alla clientela e delle attività nel proprio portafoglio nelle filiali di altre grandi città europee. Il numero di posti di lavoro delocalizzati si attesta al momento ad almeno 2.000 ma potrebbe salire a 7.000 nel "prossimo futuro", si legge sul quotidiano finanziario. Il 30% delle società interpellate da EY hanno rivelato le sedi dove intendono aumentare dipendenti e operazioni dopo la Brexit. Oltre alle già citate Parigi, Francoforte e Lussemburgo, la parte del leone sembra destinata a Dublino. "La City è più avanti di molti altri settori nell'applicazione dei piani di contingenza per la Brexit", ha spiegato Ali, "più ci avviciniamo al 29 marzo senza un accordo, più attività saranno trasferite e più persone saranno trasferite o assunte in loco altrove".