Bce, chi vince e chi perde se Draghi scarica il bazooka

di Francesco Russo
Roma - Il vecchio adagio giornalistico secondo il quale una smentita è una notizia data due volte sembra valere anche per gli investitori. Soprattutto se la smentita arriva da un'istituzione, come la Banca Centrale Europea, che tende a non commentare le sporadiche indiscrezioni che filtrano dalle stanze dell'Eurotower.
Martedì pomeriggio, invece, la soffiata giunta a Bloomberg, secondo la quale la Bce starebbe già preparando l'uscita dal 'quantitative easing, è stata seguita a stretto giro da un Tweet di Michale Steen, il capo dell'ufficio di comunicazione di Francoforte, che la definiva infondata. Fonti ben informate avevano rivelato all'agenzia stampa americana che nel direttivo della Bce ci sarebbe un "accordo di base" per ridurre, al momento opportuno, di 10 miliardi al mese l'ammontare delle operazioni di acquisto di titoli previste dal programma, che al momento procede al ritmo di 80 miliardi di euro di bond comprati mensilmente.
"Il Consiglio dei Governatori non ha discusso questi argomenti, come il presidente della Bce, Mario Draghi, ha affermato durante l'ultima conferenza stampa e l'audizione al Parlamento Europeo", recitava il 'cinguettiò di Steen. Non solo, Draghi non ha mai smesso di ricordare che la politica monetaria europea resterà a lungo "molto accomodante" e che il 'Qè potrebbe essere, se necessario, esteso ben oltre il limite provvisorio del marzo 2017. Sui mercati, nel frattempo, si era già però diffuso il nervosismo, come se non bastasse l'irritazione per una Federal Reserve i cui vertici continuano ad affermare tutto e il contrario di tutto in merito alla data del prossimo rialzo dei tassi.
- I 'CAPRICCI' DELLE BORSE Alla luce dei ribassi incassati ieri da Wall Street e oggi dalle piazze europee (con la significativa eccezione dei titoli bancari), tra gli analisti finanziari si ricomicia già a parlare di 'taper tantrum', ovvero 'capricci da restrizione'. 'Tapering' fu infatti il termine utilizzato dall'allora presidente della banca centrale americana, Ben Bernanke, quando, il 19 giugno 2013, annunciò la progressiva riduzione degli acquisti di titoli nell'ambito del programma 'Qe3'. Nei tre giorni successivi all'annuncio, le borse bruciarono il 4,3% della loro capitalizzazione. Duro tornare alla realtà per un mercato drogato da anni di liquidità facile.
- 'QE': TRA FED E BCE UNA DIFFERENZA FONDAMENTALE Scagliarsi, come fanno alcuni commentatori, contro la speculazione che tiene in ostaggio le borse, complicando la normalizzazione della politica monetaria, è in parte corretto se si parla del 'QE' della Fed ma non a proposito del 'QE' della Bce. Se è comune a entrambi gli istituti l'obiettivo di riportare il tasso inflazione vicino al 2%, tra il piano di allentamento monetario di Washington e quello di Francoforte sussiste una differenza fondamentale. La priorità di Bernanke era stata ripulire il circuito bancario dall'enorme massa di titoli tossici che avevano causato la crisi finanziaria del 2008. Attraverso ben tre piani di 'quantitative easing' consecutivi, la Fed incamerò, oltre ai buoni del Tesoro, obbligazioni garantite da mutui e altri prodotti derivati per centinaia di miliardi di dollari. La Bce ha invece solo di recente iniziato l'acquisto di titoli di debito privati (nello specifico, covered bond e asset-backed securities) ma la stragrande maggioranza delle attività acquistate dall'Eurotower è composta da buoni del Tesoro dei Paesi dell'Eurozona. L'obiettivo principale di Draghi era infatti allentare le tensioni intorno al debito sovrano dei membri più vulnerabili dell'unione monetaria.
- TORNANO LE FIBRILLAZIONI SULLO SPREAD In estrema sintesi, la prospettiva di una riduzione del 'quantitative easing' ha avuto tre effetti sui mercati: flessione dei prezzi delle azioni (bancari esclusi), rafforzamento dell'euro e divaricamento dello spread. Il differenziale di rendimento tra Btp e Bund si è riavvicinato stamane a quota 140 punti, segno che i mercati, più che la fine del 'denaro facile', temono che Paesi come Italia, Spagna e Portogallo tornino nel mirino degli speculatori. Certo, il cosiddetto 'Club Med' resterebbe comunque al riparo da shock grazie all'ormai dimenticato (ma sempre in arsenale) piano 'Omt' (ovvero 'Outright Monetary Transactions'), l'acquisto di titoli di paesi indebitati condizionato al varo di riforme. Va inoltre ricordato che il 'tapering' non scatterebbe senza uno stabile rialzo dell'inflazione, che avrebbe effetti positivi sui Paesi con deficit elevati in quanto ridurrebbe il valore del debito in termini reali. Con la deflazione invece avviene il contrario: il valore del debito aumenta e diventa più complicato rispettare gli obiettivi di consolidamento fiscale.
- L'EURO FORTE NON PIACE AGLI ESPORTATORI Analizzando l'andamento dei titoli sulle borse europee, emerge un quadro molto evidente: i titoli bancari (che sarebbero favoriti da una stretta monetaria) avanzano e quasi tutti gli altri arretrano, in particolare quelli delle imprese esportatrici. Un euro forte mina infatti la competitività dei beni prodotti in Europa rispetto alla concorrenza. Il meccanismo è semplice: aumentando la quantita di valuta in circolazione, il suo valore si deprezza sulla base della legge della domanda e dell'offerta. Per questo, dopo le turbolenze iniziali, la 'Brexit' ha messo le ali alla borsa di Londra: con una sterlina che affonda, il 'made in England' costa meno e i produttori britannici aumentano l'export.
- BRINDANO SOLO LE BANCHE Come si è detto, in borsa i titoli delle banche stanno viaggiando in controtendenza, ovvero in rialzo a differenza degli altri settori. Sebbene i tassi sui depositi restino negativi, la prospettiva di una stretta monetaria è salutata con favore dagli istituti di credito, i cui margini di guadagno sono stati compressi dall'allentamento monetario di Francoforte, che ha sostenuto le banche non attraverso il 'Qè (come ha fatto invece la Fed, seppure in maniera indiretta) bensì attraverso le 'Tltro' (Targeted longer-term refinancing operations), finanziamenti a costo bassissimo finalizzati all'erogazione di prestiti all'economia reale.
- DIETRO I RUMOR LE (PROBABILI) PRESSIONI DI BERLINO E' assai plausibile che le indiscrezioni di ieri tradiscano un pressing dei portabandiera dell'austerità, come la Germania e l'Olanda, perché Draghi inizi a scaricare il 'bazooka' del 'QE' il prima possibile. A soffrire di più l'attuale politica della Bce sono, come è noto, le banche tedesche, abituate a offrire ai clienti rendimenti molto interessanti. Rischia quindi di riproporsi la frattura tra 'falchì e 'colombe' a causa della quale la Bce lanciò il 'Qe' con notevole ritardo rispetto a Usa, Giappone e Regno Unito (e con il voto contrario del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann). Anche in questo caso, non vanno sottovalutati gli equilibri politici interni agli Stati membri. Afd, il partito nazionalista che in Germania sta strappando consensi alla Cdu, non fa infatti leva solo sulla paura dell'immigrazione ma anche sulla retorica del denaro dei contribuenti tedeschi regalato agli inoperosi mediterranei. La realtà è assai diversa: la Germania è il primo beneficiario del 'QE' e a farsi carico degli acquisti (e dei relativi rischi) sono, di fatto, soprattutto le banche centrali nazionali. Eppure fu lo stesso ministro delle Finanze teutonico, Wolfgang Schaeuble, ad accusare Draghi della responsabilità del successo di Afd alle urne. Ancora una volta la politica monetaria, che ragiona su tempi lunghi, si scontra con i ritmi ben più frenetici delle elezioni. (AGI)