Non una semplice piattaforma digitale ma una società di trasporto. Questo è Uber secondo l'avvocato generale della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che giovedì 11 maggio ha emesso un parere che potrebbe portare a limitazioni consistenti dell'attività della app nell'Unione europea. Secondo l'avvocato generale Maciej Szpunar, la società americana non può essere definita come "fornitore di servizi nella società di informazione", ma deve essere assoggettata alle regole del settore dei trasporti. Di conseguenza, non si applicherebbero le normative sulla libera circolazione dei servizi e gli Stati membri sarebbero liberi di imporre l'obbligo di licenze e autorizzazioni a Uber. Le conclusioni dell'avvocato generale non pregiudicano la sentenza che i giudici della Corte di giustizia dovrebbe emettere nei prossimi mesi. Tuttavia, se i giudici di Lussemburgo confermeranno questa opinione, Uber potrebbe essere costretta "a cambiare il suo modello di business", spiega una fonte comunitaria.
Come è nato il caso
Il caso era stato sollevato da un'associazione di tassisti della città di Barcellona che nel 2014 aveva chiesto di sanzionare la società spagnola Uber Systems Spain per concorrenza sleale, in particolare per il servizio UberPop, per il quale né i proprietari nè i conducenti dei veicoli disponevano di licenze e autorizzazioni. In Italia i sindacati Ugl taxi, Federtaxi Cisal, Uil trasporti, Fit Cisl e Fast Confsal hanno detto di aspettarsi che, dopo le conclusioni dell'avvocato generale, la magistratura riconosca "le giuste ragioni dei tassisti che chiedono regole certe per tutti, anche per una multinazionale da 70 miliardi di dollari".
Per Uber Italia, comunque, "essere considerati una società di trasporto non cambierebbe il modo in cui molti paesi già oggi regolano le nostre attivita'". UberPop infatti non è più attivo nè in Spagna nè in Italia, mentre continua a operare in Estonia, Polonia, Repubblica Ceca, Norvegia, Finlandia e Svizzera. Tuttavia Uber riconosce che c'è il rischio che la sentenza della Corte "rallenti i necessari processi di aggiornamento di leggi datate che impediscono a milioni di europei di accedere a corse affidabili con un semplice clic".
Perché Uber non è un semplice intermediario
Davanti alla Corte di Giustizia, così come nei tribunali nazionali, Uber si è sempre difesa sostenendo il diritto di operare liberamente negli Stati membri per il suo status di fornitore di servizi nella società dell'informazione, che svolge semplicemente la funzione di intermediario tra conducenti e passeggeri. Secondo l'avvocato generale, invece, Uber non soddisfa le condizioni per essere definito un "servizio misto" e rientrare nella nozione di "servizio della società dell'informazione". In particolare, i conducenti che circolano nell'ambito di Uber non svolgono un'attività propria che esisterebbe indipendentemente dalla suddetta piattaforma. Inoltre, dice Szpunar, Uber controlla i fattori economicamente rilevanti dei servizi di trasporto urbano, con l'imposizione ai conducenti di condizioni preliminari per l'accesso e lo svolgimento dell'attività, premi finanziari per gli autisti che coprono un numero rilevante di tratte, un controllo indiretto sulla qualità del lavoro e la fissazione di fatto del prezzo del servizio. Queste caratteristiche, a detta dell'avvocato generale, portano a escludere che Uber possa essere considerata come un semplice intermediario tra conducenti e passeggeri. Inoltre, nell'ambito del servizio misto offerto dalla piattaforma Uber, è il trasporto a rappresentare la prestazione principale che attribuisce al servizio misto il suo significato economico. Per Szpunar, Uber è dunque un "servizio nel settore del trasporto" e la sua attività non e' retta dal principio della libera prestazione dei servizi nell'ambito dei "servizi della società dell'informazione".
La sfida aperta della sharing economy
La sentenza dei giudici di Lussemburgo potrebbe arrivare entro l'estate. La Commissione, dove Uber ha presentato diversi ricorsi contro le legislazioni nazionali che limitano la sua capacità di operare, non ha voluto commentare l'opinione dell'avvocato generale. Ma una sentenza definitiva che dia torto a Uber potrebbe "non applicarsi a altri operatori" nel settore dell'economia collaborativa, ha spiegato una portavoce. "Ci sono società diverse con modelli di business molto diversi": è necessario valutare "caso per caso", ha detto.
Nell'ambito della sharing economy, nel settore dei trasporti l'esecutivo comunitario ha ricevuto ricorsi contro Francia, Germania, Spagna e Ungheria. Nel settore degli alloggi sono stati presentati ricorsi contro Spagna, Germania, Belgio e Francia nel settore degli alloggi. Tra i ricorrenti ci sono Uber (trasporti urbani di passeggeri), BlaBlaCar (car-pooling e ride-sharing) e la European Home Holiday Association (alloggi affittati per brevi periodi). Il 2 giugno del 2016 la Commissione aveva pubblicato delle linee guida sull'economia collaborativa, chiedendo agli Stati membri di ricorrere ai divieti assoluti di un'attività come quella di Uber o AirBnB solo "in ultima istanza".