“Progettare un futuro libero dal fumo”. Lo slogan non appare sull’homepage di un’associazione salutista ma su quella di Philip Morris International, insieme a BAT, Reynolds American e Altria uno dei quattro colossi mondiali del tabacco. “Quanto a lungo il maggior produttore mondiale di sigarette resterà nel business delle sigarette?” il quesito che svetta sulla schermata. Sembrerà un paradosso ma la direzione verso la quale si stanno muovendo le multinazionali del fumo è esattamente questa: soddisfare la dipendenza da nicotina dei clienti con prodotti meno pericolosi per la salute rispetto alle sigarette. E qua occorre farsi venire delle idee, dato che lo snus svedese difficilmente diventerà un prodotto per il consumo di massa.
Tre miliardi spesi in ricerca e il futuro si chiama IQOS
Philip Morris, nondimeno, fa sul serio: di 26 miliardi di dollari di fatturato incassati lo scorso anno, circa 3 sono stati spesi in ricerca. Il primo risultato è si chiama IQOS, tabacco che si riscalda, ma non brucia. Un prodotto che dovrebbe risultare più soddisfacente della sigaretta elettronica e che consentirebbe di non dover sacrificare l’enorme indotto delle piantagioni di tabacco. IQOS per ora è disponibile in Giappone, dove ha già conquistato il 7% del mercato, e sarà presto venduto anche in altri Paesi.
La strada verso la salute passa per tasse più pesanti
Non solo, Philip Morris ha chiesto al governo britannico di tassare i prodotti per fumatori “a seconda del loro profilo di rischio”. In sostanza, l’azienda chiede tasse più alte sulle sigarette per accelerare la transizione verso forme di tabagismo più “salutari”. Negli Usa la compagnia ha invece depositato presso la Food and Drug Administration (Fda) un faldone da 2,3 milioni di pagine, tra ricerche e test clinici, con il quale chiede il diritto di poter vendere l’IQOS come un prodotto “a rischio ridotto”.Il mercato delle sigarette elettroniche, nel frattempo, non sembra minacciare “Big Tobacco”, essendo prevalentemente in mano a piccole e medie imprese, alcune delle quali hanno dovuto soccombere allo sgonfiarsi del boom di pochi anni fa. NJOY, per esempio, ha dichiarato bancarotta. E, negli Usa, una legge del 2009 ha chiesto a ogni azienda del settore di sottoporre all’Fda una cosiddetta “premarket tobacco application” nella quale dovranno dimostrare che i loro prodotti offrono benefici per la salute, in quanto alternativi alle sigarette. Il costo medio della pratica è pari a 450 mila dollari. Una cifra enorme per una startup, spiccioli per la Philip Morris.