I n Giappone, dove trascorse l'infanzia con la mamma, le sorelle e un padre speciale, Dacia Maraini tesaurizzò paesaggi grandi e piccoli che le sarebbero rimasti in animo e avrebbe più volte riversato sulla pagina. Fino a oggi, quando la scrittrice - sul suolo giapponese nella residenza dell'ambasciatore in Italia - ha ricevuto l'Ordine del Sol Levante, Raggi in Oro con Rosetta.
L'alta onorificenza, il cui diploma fu firmato dall'imperatore, è stata concessa "per il suo contributo all'approfondimento della conoscenza reciproca fra Giappone e Italia, attraverso la valorizzazione delle esperienze maturate soprattutto durante il soggiorno in Giappone insieme al padre Fosco Maraini, prima e durante la seconda guerra mondiale". Così recita la motivazione, scandita dall'ambasciatore Keiichi Katakami, che ha presentato le credenziali a Roma meno di tre mesi fa.
"In numerosi romanzi, saggi e opere teatrali, tra cui La nave per Kobe. Diari giapponesi di mia madre o La seduzione dell'altrove, Dacia Maraini - precisa la motivazione - ha ispirato nei lettori il fascino del Giappone e della sua cultura, rievocando le sue esperienze di vita e trasmettendole non solo nelle sue opere letterarie ma anche su quotidiani, riviste, spettacoli e dibattiti televisivi in Italia".
Antropologo, e molto di più
Eccezionali ardui momenti, spesso rievocati, visse Dacia con le sorelle minori Yuki e Toni, la madre Topazia e il padre Fosco, il quale a 27 anni s'era trasferito in Giappone per studiare la minoranza aborigena Ainu. L'8 settembre '43, rifiutando di aderire alla Repubblica Sociale, i Maraini furono rinchiusi in un campo di concentramento a Nagoya dove restarono due anni. Fosco, rivendicando un migliore trattamento per sé e famiglia, si mozzò il mignolo della mano sinistra: "Era anche un antropologo - avrebbe ricordato Dacia nel giorno della sua morte, l'8 giugno 2004 - e dunque si è appellato a un'usanza, a un rito, ha agito dall'interno di una cultura che lui conosceva e che amava". Fu animato nelle sue ricerche, come ha osservato Giorgio Amitrano (traduttore in italiano di Banana Yoshimoto e Haruki Murakami), da "un rigore privo di tensione" e fece parte di quella magnifica schiera di studiosi che si muovevano tra le culture orientali con "competenza e disinvoltura" - un genere quasi estinto in tempi di "specialismo esasperato".
La concessione dell'onorificenza a Dacia Maraini sommuove anche i ricordi di Adolfo Tamburello, che fu con Fosco fondatore dell'Aistugia (Associazione Italiana per gli studi giapponesi), decano dell'Università L'Orientale di Napoli e direttore di Il Giappone: "Penso solo alla fierezza che deve avere provato per il padre Dacia bambina, quando - dice Tamburello all'AGI - divideva con lui e gli altri familiari la prigionia in Giappone e poi da giovane donna viveva il successo, l'acclamazione di Fosco e il carisma che lui esercitava sul pubblico, che rimaneva incantato ad ascoltarlo. Bisognerebbe sempre sottolineare che era
un ricercatore sul terreno, non solo uno studioso da tavolino. Non dunque il 'classico' orientalista, ma una tempra di esploratore, che parlava correntemente varie lingue e in quelle che non possedeva a pieno (delle orientali) si avventurava per 'esplorare' anche l'interlocutore e fare oggetto di conoscenza dal vivo del suo mondo".
I ricordi belli o mesti del Giappone, per la famiglia, non si sono mai sbiaditi e sono stati ultimamente travasati nel documentario “Haiku on a Plum Tree” di Mujah Maraini-Melehi, nipote di Dacia, proiettato a primavera scorsa. Né mai sbiadì l'amore di Fosco per il Sol Levante (fissato specialmente nei testi e nelle fotografie di "Ore Giapponesi", edito per la prima volta nel '56).
"Il riso, i morti, la bellezza"
Dacia Maraini, cos'è per lei il Giappone in tre suggestioni?
La prima suggestione è che il Giappone fu una parte della mia infanzia, quindi mi rimane sempre dentro. La seconda è il senso della responsabilità come virtù civile. E penso che loro ne abbiano persino troppo. C'è gente che muore per la responsabilità. E' un senso assoluto, per cui se uno deve fare una cosa ci si impegna fino in fondo.
Lo ha assorbito?
Sì, e spero di rimanere fedele a questa pratica, che ho vissuto e mi è rimasta.
Terza immagine?
Il senso della bellezza. Per gli oggetti, i vasi, le stoffe... Insomma, la bellezza tradizionale. E' cosa straordinaria.
Tra i suoi cinque sensi quale è più giapponese?
Ogni tanto vado ancora cercando riso... Direi il senso del gusto. Che mi richiama, per converso, anche la fame quando fu patita.
Ha detto che i giapponesi hanno un rapporto esemplare con i morti.
Sì, più sereno, a differenza nostra i morti non li intimidiscono.
Lei suo padre Fosco lo sente?
E' molto presente.
Oggi era qui?
Sì... Sarebbe stato contentissimo.
Se dovesse scegliere un autore giapponese, uno soltanto?
Murasaki Shikibu: il suo "Genji monogatari" è il grande classico da cui viene tutta la letteratura giapponese.