di Erfan Rashid
Cannes - Occhiali di sole, grandi, ma che non riescono a celare il suoi occhi sorridenti. Capelli corti scuri, attraversati da fili bianchi, che contrastano con i suoi 26 anni. "Ho scoperto di essere afghana a 11 anni quando un giorno, 15 anni fa, mio padre torno a casa e ci comunicò che sareemmo tornati a casa. Vivevamo in un campo di profughi in Iran e fino a quel momento pensavo di essere persiana e fantasticavo di potere diventare un giorno il presidente dell'Iran".
Lo dice in una intervista esclusiva ad AgiArab.com la giovane regista afgana Shahrbanoo Sadat che ha presentato il suo primo lungometraggio nella Quinzaine des Réalisateurs (Directors’ Fortnight) durante la 69ma edizione del festival di Cannes.
Il film narra le storie quotidiane della piccola pastora di 11 anni, esattamente come lei quando torno tornò in Afganistan e fece la pastora. "Ho conosciuto il mio paese, l'Afganistan attraverso le mille storie che mi hanno raccontato i miei genitori e attraverso centinaia di libri che ho letto" dice Sadat, "ho voglia di fare mille cose, di vivere 100-200 anni e fare film e raccontare la storia del mio paese che ha conosciuto l'invasione sovietica, i talebani, al Qaeda, gli americani e ora anche l'Isis".
"Ma non è poi così facile fare i film in Afganistan" dice la giovane regista "non riusciamo che fare due o tre lungometraggi all'anno; molti giovani fanno i loro cortometraggi con piccoli budget. In compenso abbiamo molti festival cinematografici: un controsenso" dice Sadat, "festival di tutti i generi che non producano nulla nè per l'industria nè per il pubblico perché il mondo del cinema afghano è dominato da una «Mafia» fatta dei perdenti degli anni '80 che utilizzano i vari festival e le manifestazioni culturali per rimpinguare le loro tasche, un modo per lucrare sul danaro pubblico o i fondi venuti dall'estero".
Non demorde Shahrabona Sadat e dice che continuerà a sviluppare i suoi progetti cinematografici, "continuerò a fare sogni e andare avanti" ribadisce "se non fosse stato il sogno sarei rimasta la solita pastora che pascolava il gregge di pecore, e siccome non sono intenzionata a morire in un attentato o un'autobomba, mi vedranno sempre dietro la macchina da presa per raccontare storie".
"The Wolf and the Sheep" è una produzione danese ed è uno dei 18 lungometraggi che saranno proiettati quest'anno. Il film, che la Sadat ha girato in Tagikistan, è un ritratto poetico soffuso di realismo magico della comunità rurale, dove il regista è cresciuta. (AGI)