R oma - "Mi piace essere un figlio del mio tempo". La rivendicazione, gentile e decisa, arriva sulle note di un clarinetto e stride gioiosamente con la tendenza al pessimismo che sembra connotare questo primo quarto di millennio. Michele Marelli e' cosi': 'spirito folletto", come viene definito dal critico Oreste Bossini, approda a Decca con "Contemporary clarinet" e senza esitazione ci dice, con il suo lavoro, che questo tempo vale la pena viverlo, raccontarlo e suonarlo. "L'arrivo a una etichetta di questa levatura", spiega all'AGI, "e' un bel traguardo, e un premio per quindici anni di fatica. Ho goduto di liberta' nella scelta dei brani da inserire nel cd, trovando un'intesa rapida con la produzione". "L'ordine dei brani -prosegue- ha una sua logica: il lavoro si apre con un grande compositore: Karlheinz Stockhausen, dove il clarinetto si intreccia con la musica elettronica in tre minuti molto concentrati". Il compositore tedesco e' stato, insieme a Suzanne Stephens, il mentore di Marelli. Diciottenne, appena diplomato con una tesi proprio su Stockhausen al Conservatorio di Alessandria con il massimo dei voti e la lode, Marelli instaura con lui "un rapporto artistico profondo, molto bello". "Era -racconta- una persona davvero impressionante, occhi magnetici; per me si tratto' di un incontro musicalmente senza prezzo, anche dal punto di vista umano. A Colonia, in Germania, ho abitato per dieci anni". Considerato uno dei migliori solisti di musica contemporanea della sua generazione, secondo Giorgio Gaslini "esecutore principe" del corno di bassetto, Marelli, classe 1978, si avvicina da ragazzo a "un repertorio che mi dava la possibilita' di partecipare al lato piu' creativo della musica". "Contemporary clarinet" ne e' l'ultimo convincente esito: dopo 'Klarinette aus Orchester Finalisten' di Stockausen, che tornera' successivamente con 'Tanz Luzefa!", si prosegue, spiega Marelli, "con Pierre Boulez e l'elettronica di 'Dialogue de l'ombre double', uno dei pezzi piu' importanti del repertorio clarinettistico degli ultimi anni. E' con Gyorgy Kurtag e 'In nomine all'ongherese' scritto apposta per me, che si passa al corno di bassetto, al quale mi sono dedicato molto in questi anni; si procede con 'High' di Marco Stroppa e 'Il peso di un respiro' di Ivan Fedele, e poi gli ensemble su brani di Bryan Ferneyhough (Le chute d'Icare'), con la sua esplosione di energia, e l'introspezione di Giacinto Scelsi, che in 'Kya' mi permette di sfruttare il clarinetto in tutte le sue caratteristiche timbriche".
Il corno di bassetto e' lo strumento su cui Marelli si concentra da anni, e che lo ha guidato nell'incontro sia con i grandi cmpositori di musica contemporanea. "Il mio rapporto con loro e' fondamentale: ne riesco a stimolare la curiosita' attraverso le tecniche particolari dell strumento, su percorsi inesplorati". Il corno di bassetto, che ha la forma di un clarinetto ma con la punta rivolta verso l'alto e con una estensione maggiore nel registro grave, "era uno strumento dimenticato, che proprio Stockhausen ha ripreso, ma gia' Felix Mendelssohn scrisse appositamente per esso". Alcuni affermano che il corno di bassetto fosse lo strumento preferito da Mozart, perche' rappresentava una sorta di terra di nessuno.
Lo strumento, per il quale Amadeus aveva abbozzato inizialmente il Concert K.622, consentiva di raggiungere quel suono profondo e vellutato che Mozart desiderava, e che aveva imparato a conoscere frequentando il clarinettista Anton Stadler. Dunque, Marelli sperimenta rinnovando la tradizione. "Non ho mai abbandonato il repertorio classico -spiega- anche perche' per 'distruggerla', la musica classica, devi prima impararla. Quando si creano pezzi nuovi, non sempre sono capolavori; e allora si ricorre al repertorio classico, del quale mi piace mescolare epoche differenti, ad esempio con il progetto 'Mozart destrutturato', lavorando sul suo 'Quintetto con clarinetto K581'. Il repertorio colto -continua- e' importante: non si puo' evitare Brahms, ad esempio, o, per quel che riguarda i miei gusti, Debussy o Poulenc". E non si puo' evitare il pubblico, che "alla musica contemporanea, al nuovo, non e' abituato". "Ne sono assolutamente consapevole -sottolinea- e per questo cerco di spiegare i miei pezzi. Si', Stockhausen affermava: 'La mia musica non va spiegata, e' come un fiore...', ma non e' vero: siamo bombardati dall'armonia e una musica che segue regole differenti appare fastidiosa". Ma e' anche la musica che racconta il nostro tempo. (AGI)