Cinquant'anni dopo il terremoto, cosa resta della tragedia del Belice
Il sisma uccise 300 persone e cancellò interi paesi. Dieci anni dopo la maggior parte degli sfollati viveva ancora nelle baracche

La prima forte scossa si avvertì alle ore 13:28 locali del 14 gennaio, con gravi danni a Montevago, Gibellina, Salaparuta e Poggioreale. La seconda fu alle 14:15, alle 16.48 la terza: si sbriciolarono i muri di Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Margherita e Santa Ninfa.
Nella notte, alle 2.33, un'altra scossa molto violenta si avvertì fino a Pantelleria. Ma quella devastante, definitiva, fu alle 3.01: il Belice non esisteva più, i soccorritori si trovarono dinanzi - quando riuscirono a raggiungere la valle del Trapanese, percorrendo strade distrutte - un paesaggio lunare, paradossale, senza vita. Il terremoto che squassò il Belice cinquant'anni fa - nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 - costò la vita a quasi 300 persone (ma il numero esatto non si saprà mai), 1.000 furono i feriti e 70 mila gli sfollati. Rase al suolo paesi abitati soprattutto da vecchi, donne e bambini, visto che gli uomini erano emigrati in cerca di lavoro.
E portò alla luce una realtà sconosciuta, quella della Sicilia rurale e arretrata che lo Stato aveva dimenticato. Il terremoto del Belice fu il primo grande "caso" del dopoguerra che mise a nudo l'impreparazione dei soccorritori, l'inerzia dello Stato, lo squallore dei luoghi dove ancora, nel 1976, 47 mila persone vivevano nelle baracche. Le ultime 250 furono distrutte nel 2006.
Le iniziative per conservare la memoria
Il cuore delle iniziative organizzate dal coordinamento dei sindaci, con la presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella, alle 10.30, presso l'Auditorium "Giacomo Leggio" di Partanna. Dopo i saluti istituzionali di Nicola Catania, sindaco di Partanna e coordinatore dei sindaci della Valle del Belice, e del presidente della Regione siciliana Nello Musumeci, sono state consegnate delle "targhe alla memoria" di personalità che si distinsero in occasione del tragico sisma per l'aiuto prestato alle popolazioni terremotate.
In particolare al comandante regionale dei vigili del fuoco sarà consegnata la targa in memoria dei quattro vigili del fuoco Giuliano Carturan, Savio Semprini, Alessio Mauceri e Giovanni Nuccio. A consegnarla sarà il superstite Franco Santangelo, all'epoca del terremoto bambino, che fu estratto dalle macerie proprio dai vigili del fuoco.

Il comandante della Legione Carabinieri Sicilia invece ha ritirato la targa alla memoria dell'appuntato Nicolò Cannella. A consegnarla Antonella Stassi, la prima bambina nata a Partanna dopo il terremoto, che le sorelle maggiori aiutarono a venire al mondo e lavarono con la stessa acqua in cui la madre aveva cotto poco prima le uova della cena.
Una terza targa alla memoria di don Antonio Riboldi "per la dedizione, l'impegno religioso e civico a favore delle popolazioni della Valle del Belice" è stata consegnata al vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero da uno dei bambini che monsignor Riboldi portò a Roma dal presidente della Repubblica dell'epoca. A questi si è aggiunto un riconoscimento a Ivo Soncini, il vigile del fuoco che per primo soccorse ed estrasse dalle macerie Eleonora Di Girolamo, la piccola "cudduredda" che morì alcuni giorni dopo il salvataggio, ma assurse a simbolo di quel tragico giorno di cinquanta anni fa. A consegnare la targa Eleonora di Girolamo, la sorella della bambina scomparsa nel '68 e che ne porta lo stesso nome.

A Palermo una mostra per ricordare
Il 27 gennaio verrà poi inaugurata a Palermo la mostra "1968/2018 Pausa sismica. Cinquant'anni dal terremoto del Belice. Vicende e visioni", (28 gennaio - 13 marzo). Gli scatti dei fotoreporter, il primo servizio del radio giornale, i filmati degli archivi Rai. E ancora: il progetto urbanistico per Gibellina Nuova, i bozzetti dei monumenti e le opere degli artisti che, raccogliendo l'appello del sindaco Ludovico Corrao, parteciparono al tentativo di ricostruzione del territorio nel segno dell'arte.
La mostra - curata dalla Fondazione Orestiadi e coprodotta dalla Fondazione Sant'Elia, in collaborazione con il Comune di Gibellina - va avanti per temi e sezioni che, nel loro intrecciarsi, restituiscono la complessità dell'accaduto. Si parte dalla notte del terremoto: gli scatti dei fotografi - Enzo Brai, Nino Giaramidaro, Melo Minnella, Nicola Scafidi - che si precipitarono nella Valle, i primi documenti video, il periodo nelle baracche (Letizia Battaglia). Alla ricostruzione e a Gibellina Nuova è poi dedicata un'intera sezione della mostra che esplora l'urbanistica, le architetture, le sculture attraverso i modelli delle opere realizzate.
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