La storia che lega Torino e le Olimpiadi non è ancora finita. Nonostante siano passati ormai dodici anni dall’edizione che, in tanti modi diversi, ha permesso alla città sabauda di cambiare pelle. A Palazzo di Città, allora, c’era Sergio Chiamparino. Oggi, da poco meno di due anni, c’è Chiara Appendino. E sono proprio le parole della Sindaca ad riaprire quell’uscio che nessuno aveva definitivamente chiuso. Un’apertura che porterebbe a un bis. A una possibile candidatura per il 2026. Un’opportunità per i vertici del Movimento 5 Stelle e per il suo fondatore, Beppe Grillo; un grosso punto interrogativo per alcuni esponenti della giunta pentastellata che ieri, in occasione della votazione di una mozione dedicata, hanno fatto mancare la loro presenza e il loro appoggio.
Oggi è arrivato il via libera unanime dal consiglio metropolitano di Torino ad una mozione che impegna la sindaca Chiara Appendino "ad adoperarsi presso tutte le sedi competenti a presentare entro il 31 marzo la manifestazione di interesse per i giochi Olimpici e Paraolimpici invernali del 2026". Una unanimità arrivata dopo una riunione dei capigruppo durata oltre due ore in cui ci si è confrontati su due diverse mozioni: quella del M5s e quella di centrodestra e centrosinistra.
Un passo indietro
Nel 2016, Giulia Perona e Marialuisa Greco, allora studentesse alla Scuola Holden, diedero vita a un progetto che mirava a capire quanto e come i giochi olimpici avessero influito sulla trasformazione della città. Dopo dieci anni, qual era la loro eredità? I torinesi avevano tratto beneficio di quell’evento? E in che modo? Quale futuro era stato scritto per le strutture? È stato disatteso? Grazie alle due autrici abbiamo provato a recuperare, almeno in parte, quel lavoro. Per provare davvero a capire di cosa si sta parlando alla luce dei fatti. La letteratura intorno ai Giochi del 2006 è ancora generalmente positiva. Ma come andò davvero, qual è oggi l'eredità di quella straordinaria operazione?
L'Arco Olimpico di Torino, un ponte pedonale, simbolo dei XX Giochi Olimpici Invernali del 2006
Tornare indietro negli anni: il 2006 (e il 1999)
La prima parte del reportage è un vero viaggio nel tempo. Si atterra in un’era pre-social dove non esistevano ancora gli iPhone, dove Obama non aveva ancora annunciato la sua intenzione di candidarsi per la Casa Bianca e dove le Fiat 500, versione nuovo millennio, non avevano ancora conquistato le strade delle nostre città. Anche se di Fiat, in questa storia, si parla eccome. Il 10 febbraio 2006 gli occhi del mondo erano sintonizzati sull’Italia, sul Piemonte, sulla Mole Antonelliana. Tutti ad ascoltare una voce eccezionale, quella di Luciano Pavarotti.
Alcuni passaggi di quell'inchiesta
Nel febbraio 2006 Youtube era attivo solo da un anno; il primo iPhone sarebbe arrivato solamente nel 2007 e l’Italia a luglio avrebbe vinto la quarta Coppa del Mondo di calcio battendo la Francia ai rigori. È in questa era pre-social network che si sono svolti i XX Giochi olimpici invernali di Torino.Il 10 febbraio 2006 la torcia olimpica si è incendiata illuminando quello che fu lo stadio comunale “Vittorio Pozzo”, ristrutturato e ribattezzato Stadio Olimpico in occasione della manifestazione sportiva internazionale. È con Juri Chechi, Carla Bruni, Sofia Loren, Yoko Ono, Alberto Tomba, Roberto Bolle e molte altre celebrità che si è festeggiato l’inizio dei Giochi: una cerimonia di apertura che è risultata essere il programma televisivo più visto al mondo nel 2006. Ad accendere la torcia olimpica è stata Stefania Belmondo, sciatrice di fondo che ha vinto nella sua carriera dieci medaglie olimpiche. La cerimonia di apertura dei XX Giochi Olimpici invernali si è conclusa con un’esibizione indimenticabile: dopo essersi ritirato dalle scene nel 2004, Luciano Pavarotti ha cantato per l’occasione la celebre romanza tratta dal Turandot, Nessun Dorma. Si tratta dell’ultima esibizione pubblica del tenore italiano, prima della sua scomparsa il 6 settembre 2007. Cominciano così le Olimpiadi che avrebbero animato per sedici giorni la città di Torino, trasformandola e presentandola in mondo visione.
L’intervista a Valentino Castellani
Quella del 2016 è una gioia che in realtà risale a sette anni prima. Più precisamente al 19 giugno del 1999. È in quella data, infatti, che arriva l’ufficialità della vittoria: Torino ha battuto le città concorrenti. Dalla favoritissima Sion a Klagenfurt, da Helsinki a Zakopane. Vittorio Castellani, allora Sindaco, firmava con Gianni Petrucci, allora presidente del CONI, il documento che sanciva l’inizio di quell’avventura olimpica. Un’avventura fatta di corse contro il tempo. Perona e Greco, nel loro reportage, hanno incontrato proprio Castellani che, in quei mesi, fu anche Presidente del comitato organizzatore
“Il ceto dirigente era alla ricerca di qualcosa che facesse uscire Torino da una sorta di guscio provinciale nel quale si era auto-limitata. L'unico fattore di internazionalità della città era la Fiat. Ad avere l’idea fu il generale dei carabinieri Romano, responsabile della sicurezza durante i mondiali di sci alpino di Sestriere. Era il 1997 e pochi mesi dopo l’evento Romano invitò le istituzioni piemontesi a prendere un aperitivo al circolo degli ufficiali per comunicarci la sua idea: portare le Olimpiadi invernali a Torino. Cominciammo a ragionarci ma i tempi erano davvero stretti, preparammo la candidatura in soli quattro mesi. Io, in quanto sindaco ne avevo la responsabilità e fin dalle prime battute volli che ad affiancarmi nel controllo fosse l'avvocato Agnelli. Non solo per la sua credibilità anche nel mondo sportivo ma anche perché è evidente che a Torino non si fanno le Olimpiadi se la Fiat non è d'accordo: gli sponsor e le partnership, le macchine per spostarsi, la Fiat è la business community. L'avvocato ne fu entusiasta e si mise a disposizione fin da subito. Vincemmo in maniera abbastanza netta in sede Coni. Costituimmo il comitato di candidatura in vista dell’assemblea del CIO, il comitato olimpico, che si sarebbe svolta nel giugno 1999. Avevamo poco più di un anno per completare il dossier di candidatura, in due anni siamo passati dalla decisione di provare a fare i giochi ad averli assegnati. Siamo stati bravi ma ammetto che la fortuna era dalla nostra parte: nel CIO si era creata una grossa spaccatura legata all'assegnazione delle Olimpiadi invernali a Salt Lake city, per l’assegnazione dei Giochi infatti erano stati comprati dei voti. Qualcuno ne voleva approfittare per coinvolgere Juan Antonio Samaranch (presidente del CIO dal 1990 al 2001, ndr), nonostante non fosse coinvolto. Il comitato si spaccò tra quelli legati al mondo “dei ricchi”, e poi tutti gli altri, come l’Africa che non avendo neve non è interessata all’assegnazione ma deve necessariamente votare. Sion era la favorita e avrebbe avuto le Olimpiadi in pugno se non avesse deciso di guidare quella fronda che si opponeva al presidente”.
Villaggio olimpico di Torino 2006
La concorrenza europea e di Sion, cittadina svizzera, che sognava le Olimpiadi da diversi anni
“Nel giugno ‘99 eravamo a Seul per l’assegnazione e prima della votazione ero in conferenza stampa con trecento giornalisti sportivi che venivano da tutto il mondo. Un australiano mi disse: “È la prima volta che vi presentate e pensate di vincere contro Sion che è alla terza candidatura?”. E io risposi: “Io sono nuovo in questo ambiente, l'esperienza che posso vantare è quella di trentacinque anni da professore universitario: sa quante volte ho bocciato studenti che si presentavano per la terza volta e ho dato la lode a chi dava l’esame al primo tentativo?”.La sfida era grossa e alcune cose le abbiamo dovute cambiare rispetto al dossier. Un anno prima gli impianti erano pronti per essere testati, ma ci siamo arrivati con la lingua di fuori per quanto avevamo lavorato…”
Tre villaggi olimpici e moltissimi luoghi trasformati o costruiti per l’occasione. Nel reportage c’è l’elenco: l’Oval Lingotto, Torino Esposizioni, il Palaghiaccio, il Palavela, lo spazio di via Massari, il Palasport Olimpico, in città; Bardonecchia, Cesana (Parsol e San Sicario), Pinerolo (Palaghiaccio), Pragelato, San Sicario Fraiteve, Sauze d'Oulx-Jouvenceaux e Sestriere (colle e borgata), nella provincia. Tutto per ospitare quindici discipline. Secondo Castellani, però, Torino ottenne molto di più di quel lascito materiale.
"C'è prima qualcosa di intermedio, che attiene all'immagine della città. Le Olimpiadi hanno cambiato il brand di Torino, noi siamo una delle poche città europee che ha un paesaggio, i 300 km di montagna che fanno da corona a Torino non ci sono dappertutto. Nel posizionamento di Torino sulla mappa del mondo le Olimpiadi hanno contribuito a innescare l'incremento del settore economico su Torino. Negli anni ‘90 non eravamo una meta turistica, sono i dati a dire che la provincia di Torino ha avuto negli ultimi dieci anni il tasso d'incremento di turismo più alto d'Italia. Adesso è una meta turistica anche se ancora poco frequentata da turisti extra-europei. Il prossimo obiettivo dovrebbe essere quello di coinvolgere anche loro. E poi c’era la consapevolezza dei cittadini che la città stava cambiando. Quando decidemmo di candidarci per portare le Olimpiadi a Torino, l'idea era quella di costruire un'occasione per dare visibilità internazionale alla città. Le Olimpiadi erano un pezzettino di un processo di trasformazione della città post-manifatturiera. Era un progetto di cambiamento. E io credo che nell'immaginario dei cittadini di Torino, le Olimpiadi abbiano creato una presa di coscienza, come a dire: “siamo bravi a fare delle cose”. In questo modo l’evento ha lasciato un imprinting di futuro e cambiamento che era quello che speravamo di ottenere”.
L’intervista a Paolo Bellino
Nel reportage di Perona e Greco compare anche un’altra figura che fu centrale nel Comitato Organizzatore: Paolo Bellino. Durante i giochi ricoprì ruoli importanti e di primo piano: chief operating officer, managing director del Main Operation Center (MOC), coordinatore del Comitato Atleti e coordinatore dello Steering Committee. Anche lui ha voluto sottolineare il grande successo dell’edizione mostrando però, allo stesso tempo, delle forti criticità su quello che è venuto dopo. In particolare sul destino di quelle infrastrutture che sono state costruite per il presente e non per gli anni a venire.
“Il vero fallimento di Torino 2006 è che sono stati fatti investimenti immobiliari importanti nelle infrastrutture senza prospettive. Hanno costruito impianti per 15 giorni su una durata di 30 anni, invece di costruire degli impianti che sarebbero serviti per 30 anni, allestendoli per 15 giorni. Al Palasport Olimpico, o Palaisozaki, ci sono 5500 mq di spogliatoi, dei quali non te ne fai niente. Se fosse stato costruito con un piano industriale specifico, avrebbero fatto degli allestimenti per le Olimpiadi per poi portarlo a termine per come doveva essere nella funzione successiva, e poi magari in quei 5500 mq si sarebbe potuta fare un'area commerciale. Come l'Oval Lingotto o Expo 2015. Tutte le energie sono per l'evento che è un passaggio minimale di quelle infrastrutture. A maggio abbiamo cominciato a lavorare al piano industriale organico per tutte le strutture. A gennaio si è costituita la Fondazione che le ha ricevute. Poi in realtà la fondazione li ha ricevuti non a Gennaio ma nel 2010 perché alcuni impianti non erano finiti, altri dovevano essere completati e di altri non era chiaro chi fosse il proprietario definitivo, quindi non potevano essere conferiti”.
La domanda successiva delle autrici è semplice: di chi sono le responsabilità?
“Partiamo dalla candidatura. Quando si organizzano delle Olimpiadi si candidano Coni, governo italiano e città ospitante. È la città che si occupa di organizzare. Il Cio dà delle regole sugli impianti, l'ospitalità, i trasporti etc. Gli eventi sono un accelerante a grandi trasformazioni urbanistiche. Quello è il piano strategico di trasformazione della città. Gli eventi non aspettano, ti costringono a costruire tutto entro una certa data. Io ho lavorato a Torino 2006, alle candidature di Roma 2020 e 2024, e ancora non ho capito perché si sono candidate. Tu me lo sai dire?”
Nel 2016 erano ancora gli impianti a destare le maggiori perplessità
“Oggi ti trovi con una pista di bob che praticamente non esiste più, costata 135 mln di euro. I trampolini, costati 90 mln, e sono assolutamente inutili. L'Oval è sostanzialmente inutile, e non è neanche finito perché non è mai stata costruita la manica che avrebbe unito i vari padiglioni del polo fieristico. Il villaggio olimpico è un cesso che ti cade in testa, le arcate Moi dove non c'è niente, il ponte che unisce Torino Nord e Torino Sud è stato costruito è vero, ma pensa che da 30 anni si dice che la stazione di Lingotto deve essere coperta. A Pinerolo un palazzetto dello sport e una pista di ghiaccio ci sono, non sto a dire se sono utili o inutili, ma comunque hanno costruito due palazzetti da 3500-4000 posti a 30 km di distanza, tra Pinerolo e Torre Pellice. Per accontentare tutti i sindaci della montagna hanno speso un botto di soldi per fare la pista di freestyle a Salice, senza motivo, perché non se ne facevano nulla. Hanno fatto la pista di sci di fondo a Pragelato che è abbastanza utile ma c'era già. Il biathon lo hanno fatto a Cesana per non fare due impianti nello stesso posto. Tante cose che non si vedono, ma sono oggettivamente degli sprechi. Nel complesso comunque era un'Olimpiade piccola e con cifre relativamente basse. Quello che è stato utile è che la Fiat allora era in una crisi bestiale e per almeno cinque anni le Olimpiadi hanno allontanato una crisi che altrimenti avrebbe avuto un impatto enorme sulla città, ancora più grande di quello che è stato”.
Davvero è stata un'opportunità?
Per Torino, alla fine, è stato un bene l’Olimpiade? È stata davvero un’opportunità? Anche rispetto ad altre edizioni molto meno fortunate.
“Non dobbiamo guardare gli altri, se fanno peggio di noi. Sochi è stata un disastro, hanno speso 40 miliardi di euro, a Pechino hanno speso tantissimo perché dovevano dimostrare che erano i migliori, ad Atlanta e Los Angeles però hanno guadagnato soldi. E qui torniamo al discorso del turismo, come ho detto prima: hanno scoperto Torino nel mondo, una città con un'interessante capacità culturale, piccola ma bella, dove si mangia e si beve bene, e che tutto sommato ha una buona capacità turistica. Sono convinto sia stato un grande successo e sono fiero di avervi contribuito. Ma non credo ci si possa sempre beatificare. L'unica cosa che è servita veramente è che Torino è stata vista da 4 milioni di persone in televisione”.
La memoria (e il racconto) di chi c’era
Per i torinesi e per chi, come Alessandro Baricco, Emiliano Poddi e Mauro Berruto, vive di narrazione e sport, Torino 2006 è stato un evento molto significativo. Un momento saliente. Uno spartiacque. Qualcosa che ha cambiato, davvero, la vita per chi, in quella città, ci viveva.
Torino 2016, in numeri
Nel documento ci sono anche diversi dati dell’Olimpiade. Eccoli, divisi per categorie.
Le discipline
- 5 le discipline invernali
- 84 eventi da medaglia
- 1.026 le medaglie assegnate (342 ori, 342 argenti, 342 bronzi)
Lo staff di Torino 2006
- 2.700 paid staff (persone retribuite a diverso titolo: dipendenti, collaboratori a progetto, consulenti staff, lavoratori interinali)
- Per il 42% donne e per il 58% uomini Il 37% con meno di 30 anni;
- il 40% con un'età compresa tra i 30 e i 39 anni.
- Gli over 40 sono il 23%
Le nazionalità più rappresentate, oltre a quella italiana, erano quelle inglese, olandese, tedesca, australiana, cinese e greca
I volontari
- 18.000 volontari formati
- 55 i paesi di provenienza
- 41.500 richieste pervenute
- 61% uomini 39% donne
- 47% da 18 a 35 anni di età, 33% over 55, 20% da 36 a 54 anni
- 56% impiegati in città, 44% in montagna
- 302.700 turni pianificati durante il Games-time
Gli atleti (qui trovate alcune interviste-video)
- 2.633 atleti
- 2.704 tecnici e accompagnatori
- 80 Comitati Olimpici Nazionali
I Media
- 2.688 giornalisti della carta stampata, agenzie, fotografi
- 6.720 giornalisti di radio e televisione
- 7 Villaggi destinati ai Media nell'area metropolitana
I servizi di ristorazione
- 345.500 pasti serviti a staff e volontari
- 140.000 nei Siti di città e 250.000 nei Siti di montagna Oltre
- 200.000 pasti forniti agli atleti nei tre Villaggi Olimpici
- Oltre 160 le strutture e le lounge adibite alla ristorazione per spettatori atleti, staff, volontari, Famiglia Olimpica, Sponsor, giornalisti
- Più dì 2.000 addetti ai servizi di ristorazione
- Più di 30.000 bottiglie di vino consumate
- Più di 1.200.000 litri di soft drink consumati
Le dirette televisive
- quasi 1.000 ore di diretta
- 94 broadcaster presenti
- 400 telecamere; 900 postazioni audio video; 30 regie mobili
- 30.000 metri quadri di superificie per l'IBC - International Broadcasting Centre
- 780 km di cavi circa
- 130 paesi hanno trasmesso in diretta i Giochi
- 50 lingue utilizzate
Reverse, il progetto fotografico su Torino 2006
Nel ricostruire quello che è stato uno degli eventi più importanti della storia sportiva italiana, le due attrici hanno conosciuto anche una fotografa, Giulia Bottiani. Il suo progetto, Reverse, aveva un obiettivo simile al loro: quello di proporre “un'indagine sulla metamorfosi di cui sono state soggetto e oggetto le opere e le infrastrutture della città di Torino e delle valli olimpiche dal 2006 ad oggi”. Un modo per capire quanto la volontà di rinnovare il tessuto urbano abbia portato, in diversi casi, a ereditare edifici fatiscenti, popolati ma decadenti. Vittime, insomma, del passare del tempo e della memoria. Negli album del progetto “Come finiscono i giochi?” è così possibile volgere lo sguardo agli impianti costruiti per le Olimpiadi, come Pragelato e Cesana, ma poi abbandonati. Ma anche osservare il villaggio olimpico, un tempo brulicante di parole mischiate ad attese e speranze e oggi, invece, silenzioso e malinconico. L’ennesimo sguardo sul tempo che porta, ancora una volta, a chiedersi: i giochi, per una città come Torino, sarebbero ancora un’opportunità?