NYTimes: le storie degli "angeli" italiani che salvano i migranti
In un video-reportage il racconto del dottore che cura il corpo e accarezza l'animo, del direttore del centro di accoglienza 'amatoriale' e della dottoressa forense che pensa a chi ha perso i propri cari

Roma – Dovrebbe rappresentare la via per una vita migliore, una fuga dalle carestie e dalle guerre, dai soprusi e dalle violenze, ma la rotta tracciata dalle coste dell’Africa settentrionale fino alle spiagge di Lampedusa detiene un triste record: è la più mortale al mondo. Solo quest’anno 4mila persone hanno perso la vita in quelle acque. Quelli che, aggirando le restrizioni nel mar Egeo, riescono a mettere piede sull’isola – in condizioni spesso disumane - trovano una situazione diversa da quella che si aspettavano, con l’Italia che fatica a gestire il continuo flusso di profughi. Le cifre parlano chiaro: negli ultimi tre anni, mezzo milione di persone sono arrivate in Italia sfidando le acque del Mediterraneo a bordo di imbarcazioni di fortuna. Non solo: i comuni sono sprovvisti di centri di accoglienza e Roma è l’unica capitale europea a non avere un centro per i migranti in transito. La gestione dei migranti è uno dei temi che ha creato frizioni tra il governo Renzi e Bruxelles, mentre gli sbarchi sono da tempo uno dei punti della campagna di Lega e Movimento 5 Stelle.
Ma politiche europee e nazionali, immobilismo e numeri non sembrano scoraggiare chi con i migranti vive giorno dopo giorno, soccorrendoli in alto mare, accogliendoli in centro non ufficiale nato per colmare la lacuna delle istituzioni, o prendendosi cura dei corpi di chi non ce l’ha fatta. E’ questo il caso del dottor Pietro Bartolo, direttore dell’ospedale di Lampedusa; di Andrea Costa fondatore del centro Baobab di Roma e della professoressa di medicina legale Cristina Cattaneo, che hanno raccontato in un reportage del New York Times le loro tre storie. Un filo rosso le lega: l’altissimo livello di sensibilità.
Pietro Bartolo, dottore del corpo e dell’animo
Dopo 25 anni di intenso lavoro al centro di primo soccorso di Lampedusa, il dottor Pietro Bartolo non si è ancora abituato a determinate immagini. La vista di corpi annegati, di bambini che hanno trovato la morte proprio inseguendo la vita “mi hanno turbato nel profondo, nell’animo. Mi hanno ferito”. Al punto che la notte Bartolo ha spesso degli incubi. All’ospedale di Lampedusa arrivano pazienti di ogni genere: con ferite da arma da fuoco, denutriti, ipotermici, e molte, moltissime donne in gravidanza cui Bartolo – come mostrano le immagini del video – fornisce non solo assistenza medica ma anche una sorta di carezza psicologica. “Sorridi, devi sorridere”, suggerisce a una ragazza arrivata dall’Etiopia al quinto mese di gravidanza.
Ma non è facile sorridere, spiega il dottore, le donne subiscono continue violenze sessuali e “quelle che non sono incinte non sono state affatto risparmiate: a loro sono state somministrate terapie ormonali per non creare problemi agli scafisti per i quali sarebbero, letteralmente, un peso”.
La stessa traversata rappresenta un rischio altissimo di morte non solo per l’eventualità di un naufragio: “una nuova patologia si sta sviluppando, quella che io chiamo “malattia dei gommoni”: la benzina utilizzata dagli scafisti, caduta a terra e mescolata con l’acqua entra a contatto con la pelle creando una lesione chimica da ustioni, anche mortali” .
Per il medico c’è solo una soluzione ed è “radicale”: “Non farli partire. Nessuno vuole lasciare la propria casa se non costretto. Bisogna creare le condizioni base per permettere loro di vivere”.
Andrea Costa che ha una “diversa idea di accoglienza”
“La nostra idea di accoglienza è completamente diversa da quella del governo” ha spiegato Andrea Costa al New York Times, quattro settimane prima che l’amministrazione capitolina facesse chiudere il centro Baobab in via Cupa, nei pressi della stazione Termini, per “tutelare la salute degli ospiti”. “Per molti migranti l’Italia è solo il primo passo per una vita migliore. Vogliono raggiungere i paesi più ricchi. Ma Roma è l’unica capitale in Europa a non avere non ha un centro per i migranti in transito”. Ed è per questo che Costa ha creato Baobab. Lo scopo era quello di fornire loro cibo, prima assistenza e “fargli vivere Roma al meglio”. Cibo, abiti, medicinali, erano il frutto di donazioni dei cittadini e della Chiesa. “La chiamano emergenza – osserva Costa - ma non è un terremoto un attacco terroristico. Se è noto che arriveranno tutte queste persone non si può gestire la cosa come fosse un emergenza”.
Cristina Cattaneo, la professoressa che pensa ai familiari delle vittime
“Di tutte le tragedie questa è la più disumana”: non ha dubbi Cristina Cattaneo, professoressa di medicina legale di Milano che ricorda di aver provato il più grande senso di desolazione di fronte all’immagine di una barca rotta e affondata con centinaia di corpi di migranti ondeggianti. “Dopo un incidente aereo le persone corrono a identificare i cadaveri. Ciò non accade in questi casi”. Dopo l’autopsia, raccogliamo gli oggetti personali, li conserviamo nell’ipotesi che i familiari chiederanno informazioni sui loro cari”. Poi aggiunge: “Sono convinta che se si pensasse a questa gente come a delle persone con una storia, un volto, familiari, si avrebbe una maggiore percezione della tragedia in corso”.