Chissà cosa c’è davvero dietro l’idea del governo britannico di tornare alla tanto contestata immunità di gregge. Non si tratta di un ritorno ufficiale alla vecchia tesi inizialmente sposata da Boris Johnson, che poi se l’è rimangiata subissato dalle critiche. In sostanza si tratta, lo ricordiamo, di questo: la Natura faccia il suo corso, infetti chi vuole perché solo in questo modo ad un certo punto possiamo bloccare il coronavirus isolandolo con le sue stesse armi.
Con le greggi pare funzioni, quando compare una lingua blu o una zoppina. Ma gli uomini hanno una valenza etica diversa, e qualcuno l’ha fatto notare. Dice: non si può usare la vita di qualcuno, anziano presumibilmente vista la cattiveria del Covid nei confronti dei meno giovani, per salvare quella di un altro.
L’anziano in questione sarebbe un agnello sacrificale, né più né meno, e la sua dipartita di conseguenza eticamente assimilabile al sacrificio umano. Gli ultimi a sacrificare i loro simili a Certumno, in tutta Europa, furono i Celti all’epoca di Cesare.
Malthus e la cantina da sgombrare
Eppure "Un blocco prolungato rischia di causare più sofferenza del virus stesso", ha ammonito Graham Medley, studioso di modelli pandemici per il governo britannico. A sua detta il Regno Unito si trova a dove affrontare il dilemma di scegliere tra chi danneggiare, tra giovani e anziani. E voi che fareste? Ognuno risponda.
Medley lo ha già fatto, dando ragione a Malthus: grandi le epidemie, grande l’igiene sociale. Una pulizia di quella grande cantina fitta di ragnatele che sono le società umane. Le chincaglierie finiscono giù dalla finestra. “Any old iron?” si chiedeva, una quarantina di anni fa, Anthony Burgess. E non è l’unico precedente storico che viene in mente.
Ma a guardar bene, dietro alla tesi di Medley una spiegazione c’è, ed è tutta nella sua professione. Ricordiamola: studioso di modelli pandemici. In altre parole, un uomo versato nelle scienze estate e matematiche che, attraverso di esse, deve immaginare l’andamento di un fenomeno di qualsiasi cosa non è ancora accaduta e che accadrà (forse, chissà) domani o anche dopo (forse, chissà) riducendola ad una curva tra un asse delle ascisse ed uno delle ordinate. Non è una professione facile. I Celti, all’epoca di Certumno, avevano i bardi e i druidi.
Un dilemma, quello di anticipare cosa stia accadendo con il coronavirus attraverso i modelli matematici, cui persino l’Economist ha dedicato proprio questa settimana un lungo articolo. Essendo notoriamente erede di una cultura che si rifà a Hume e Locke piuttosto che Beltorax (per i dubbiosi: il cugino britanno di Asterix), non ha esercitato facoltà divinatorie nell’individuare il problema. Si è rifatto semplicemente all’uomo più indeciso del momento: Donald Trump, che proprio al variare dei modelli matematici affida apertamente le sue scelte e le sue promesse.
“La potenza dei modelli”, scrive il settimanale, “consiste nel fatto che essi catturano cosa è stato visto nei paesi in cui si è manifestato il contagio e di conseguenza danno un’immagine quantitativa di cosa potrà essere visto domani – o in un domani alternativo”. Se la si legge in un modo, è la proclamazione della superiorità della scienza umana sul Destino, Se la si legge al contrario, la teorizzazione dell’andar di notte.
Il metodo giusto
Di modelli epidemiologici ve ne sono di due tipi principali, dipanantisi in una ridda di sottotipi. Tutti hanno in comune una cosa: si basano sui precedenti. E siccome il coronavirus di precedenti stretti non ne ha, al massimo qualche parentela con la Sars, sono tutti più o meno difficilmente attendibili.
Normalmente si tenta di ovviare alla difficoltà accumulando sulla propria scrivania il maggior numero di modello, per fare più o meno una media. L’alternativa – è accaduto davvero – è buttare tutto all’aria e farsi dire dai medici specializzati, sulla base dell’intuito e del buon senso, cosa si aspettano che accada. A difesa di questo metodo, che noi facciamo risalire direttamente all’Agenzia Pinkerton, bisogna dire che almeno in Italia i medici di famiglia ci avevano visto giusto in più di un’occasione.
Fra gli interrogativi più diffusi ed angoscianti che circolano, e che la classe dirigente non può che rivolgere agli esperti di modelli matematici, c’è questo: alla fine, quanta gente morirà? Anche qui le cifre finiscono sopraffatte da un profluvio di subordinate. Dipende.
Dipende da come agiranno i governi (spesso sotto l’influsso dei suddetti modelli matematici), dipende dalla tenuta dei sistemi sanitari, dipende anche qui, una volta di più, dall’imponderabile. Inutile dire quanto sia frammentato il fronte degli esperti. Per non parlare dell’altro interrogativo. Quello sulle conseguenze economiche della crisi e del suo bilancio finale.
Una profezia tutta equivalenze e funzioni elaborata dall’Università di Chicago sostiene che in America, nel caso teorico che il governo federale non facesse nulla, i morti sarebbero tre milioni. L’adozione di misure blande di contenimento (“state a un metro di distanza gli uni dagli altri”) già farebbe scendere il bilancio a un milione e trecentomila. Trump, che conosce le possibili conseguenze politiche dell’ecatombe, mette le mani avanti e dice che stare sotto alle centomila vittime – numero suggeritogli dai consiglieri alla luce delle misure effettivamente prese – vorrebbe dire aver fatto un buon lavoro.
Ma, ancora una volta, cosa vuol dire? I modelli matematici, al tempo stesso, dicono che gli effetti economici della pandemia variano al variare dei paesi colpiti e dei settori sociali coinvolti. Più ne sono afflitti i ceti produttivi, peggio sarà.
Il conteggio che viene dal passato
Questo però è un calcolo per l'appunto matematico, e se invece si guarda il capitale di cultura ed esperienza che hanno i ceti non più produttivi (leggi: gli anziani) la perdita sarebbe comunque enorme. L’organismo sociale deperirebbe come una mela rinsecchita. È il grande dibattito che giusto adesso si va aprendo sul Prodotto interno lordo: c’è chi lo vuole fatto di sole cifre, magari algebricamente positive, chi invece vuole calcolare anche il grado di soddisfazione dei cittadini o la qualità dei servizi.
Il calcolo del Pil però appartiene al passato. Il futuro non è dato saperlo, né ce lo può dire una scienza per esatta che sia. Sintetizziamo con la conclusione dell’Economist: alla fine si farà che se una nazione deciderà di allentare le restrizioni, tutti staranno a guardare se la sua economia si riprenderà e la sua popolazione reggerà all’infezione. “In questo caso allora anche gli altri seguiranno l’esempio”. Non è l’immunità di gregge, e nemmeno l'analisi matematica. È il metodo Pinkerton.