Nelle opere pubbliche l’Italia è ostaggio della burocrazia, vittima delle procedure, ed è un Paese letteralmente in ginocchio. Tanto che per poter operare agilmente non servono più leggi speciali, come è stato nel caso di Venezia, ma servirebbe una vera e propria legge di emergenza.
A dirlo in un’intervista a la Repubblica è l’imprenditore Pietro Salini, ad di Salini-Impregilo, colosso del settore delle grandi opere. Il quale aggiunge: “L’Autostrada del Sole è stata costruita in cinque anni, oggi per fare un tombino ce ne vogliono sei. Ecco perché bisogna muoversi”.
Secondo l’imprenditore se “Venezia è sommersa dall’acqua, i ponti delle autostrade crollano, l’Italia è in ginocchio dal punto di vista delle infrastrutture, abbiamo un lungo elenco di opere importantissime bloccate” è giunto il momento di dichiarare lo stato di emergenza nazionale e muoversi con quelle leggi che proprio in virtù dell’emergenza, consentono di snellire le procedure per i lavori pubblici, in totale trasparenza” perché “l’Italia ha bisogno di pianificare e fare le infrastrutture essenziali per la crescita, come stiamo facendo nella ricostruzione del viadotto sul fiume Polvecera a Genova”. E salini garantisce: “Là, nel giro di pochi mesi abbiamo fatto partire i lavori, che stanno andando avanti giorno e notte e finiranno in tempo”.
Le competenze del resto non mancano e quelle italiane accumulate nel tempo , assicura l’imprenditore, “sono uniche”. Il problema, pertanto, non è la mancanza di fondi, ma il fatto che le opere “si sono impantanate nella palude della burocrazia che ha paura di fare” e quindi “il Pil non riparte”. Che altro deve succedere?, si chiede Salini, che si sfoga: “ Sarò brutale, ma la situazione è questa e se non la si cambia il Paese affonda”. E sul caso Venezia-Mose, ad esempio, oerigine dell’emergenza di questi giorni, Salini parla chiaro: “Mi pare che il progetto Mose sia commissariato da tempo. Non mi sembra che questa soluzione stia dando risultati” e dice di non aver nessuna intenzione di candidarsi a portare a termine il progetto: “Abbiamo già molto da fare”, chiosa.
Poi si sofferma su Genova e riflette: “A Genova sono in vigore le stesse leggi che valgono nel resto d’Italia. Ma la differenza è che là tutti - dal governo alle amministrazioni locali, dalla magistratura all’autorità per l’ambiente - sono uniti nel voler fare il nuovo ponte. Serve questa volontà comune, che deve partire dal fatto che le infrastrutture sono un fattore essenziale di sviluppo. È necessario, ad esempio, modificare il modo in cui sono fatti i contratti, che oggi addossano ai costruttori tutti i rischi, compresi quelli assolutamente fuori dal loro controllo, come i cambiamenti di norme che avvengono successivamente. La normativa deve cioè essere fatta per fare le infrastrutture non per bloccarle”.
Per poi concludere: "Ma distruggere il settore delle costruzioni, come in buona parte si è già fatto, non risolve nulla. Anzi, aggrava la situazione. Ci sono stati casi di malaffare, come in tutti i settori, che vanno puniti, ma questo non significa colpevolizzare un’intera industria e farla morire, e con lei l’occupazione. Invece il Paese si è fermato in modo indiscriminato, con danni per tutti".