CdV - "La misericordia restaura tutto e restituisce le persone alla loro dignita' originaria". E noi davanti a un Dio che perdona cosi' "rimaniamo sbalorditi". Lo ha affermato Papa Francesco nell'omelia della messa crismale ricordando la figura del Padre Misericordioso descritta da Gesu' nella parabola del Figliol Prodigo: "quell'uomo che corre, commosso, a gettarsi al collo di suo figlio; vedendo come lo abbraccia e lo bacia e si preoccupa di mettergli l'anello che lo fa sentire uguale, e i sandali propri di chi e' figlio e non dipendente; e poi come mette tutti in movimento e ordina di organizzare una festa". "Nel contemplare sempre meravigliati questa sovrabbondanza di gioia del Padre, al quale il ritorno del figlio permette di esprimere liberamente il suo amore, senza resistenze ne' distanze, noi - ha esortato il Papa - non dobbiamo avere paura di esagerare nel nostro ringraziamento". "In questo Anno Giubilare - ha scandito - celebriamo, con tutta la gratitudine di cui e' capace il nostro cuore, il nostro Padre, e lo preghiamo che si ricordi sempre della sua Misericordia; accogliamo, con dignita' che sa vergognarsi, la Misericordia nella carne ferita del nostro Signore Gesu' Cristo, e gli chiediamo che ci lavi da ogni peccato e ci liberi da ogni male; e con la grazia dello Spirito Santo ci impegniamo a comunicare la Misericordia di Dio a tutti gli uomini, praticando le opere che lo Spirito suscita in ciascuno per il bene comune di tutto il popolo fedele di Dio".
Secondo Bergoglio, infatti, "il giusto atteggiamento" da assumere e' quello del "povero lebbroso che, vedendosi risanato, lascia i suoi nove compagni che vanno a compiere cio' che ha ordinato Gesu' e torna ad inginocchiarsi ai piedi del Signore, glorificando e rendendo grazie e Dio a gran voce". Dunque, "il ringraziamento effusivo e' la risposta giusta: bisogna entrare subito alla festa, indossare l'abito, togliersi i rancori del figlio maggiore, rallegrarsi e festeggiare". "Perche' - ha spiegato - solo cosi', partecipando pienamente a quel clima di celebrazione, si puo' poi pensare bene, si puo' chiedere perdono e vedere piu' chiaramente come poter riparare il male commesso". "Puo' farci bene - ha continuato Papa Francesco - domandarci: dopo essermi confessato, festeggio? O passo rapidamente ad un'altra cosa, come quando dopo essere andati dal medico, vediamo che le analisi non sono andate tanto male e le rimettiamo nella busta e passiamo a un'altra cosa. E quando faccio l'elemosina, do tempo a chi la riceve di esprimere il suo ringraziamento, festeggio il suo sorriso e quelle benedizioni che ci danno i poveri, o proseguo in fretta con le mie cose dopo aver lasciato cadere la moneta?".
"L'altro ambito nel quale vediamo che Dio eccede in una Misericordia sempre piu' grande, e' il perdono stesso. Non solo perdona debiti incalcolabili, come al servo che lo supplica e poi si dimostrera' meschino con il suo compagno, ma ci fa passare direttamente dalla vergogna piu' vergognosa alla dignita' piu' alta senza passaggi intermedi. Il Signore lascia che la peccatrice perdonata gli lavi familiarmente i piedi con le sue lacrime. Appena Simon Pietro gli confessa il suo peccato e gli chiede di allontanarsi, Lui lo eleva alla dignita' di pescatore di uomini. Noi, invece, tendiamo a separare i due atteggiamenti: quando ci vergogniamo del peccato, ci nascondiamo e andiamo con la testa bassa, come Adamo ed Eva, e quando siamo elevati a qualche dignita' cerchiamo di coprire i peccati e ci piace farci vedere, quasi pavoneggiarci. La nostra risposta al perdono sovrabbondante del Signore dovrebbe consistere nel mantenerci sempre in quella sana tensione tra una dignitosa vergogna e una dignita' che sa vergognarsi: atteggiamento di chi per se' stesso cerca di umiliarsi e abbassarsi, ma e' capace di accettare che il Signore lo innalzi per il bene della missione, senza compiacersene. Il modello che il Vangelo consacra, e che puo' servirci quando ci confessiamo, e' quello di Pietro, che si lascia interrogare a lungo sul suo amore e, nello stesso tempo, rinnova la sua accettazione del ministero di pascere le pecore che il Signore gli affida". "Per entrare piu' in profondita' in questa 'dignita' che sa vergognarsi', che ci salva dal crederci di piu' o di meno di quello che siamo per grazia, ci puo' aiutare - ha infine concluso il Pontefice rivolto al clero di Roma - vedere come nel passo di Isaia che il Signore legge oggi nella sua sinagoga di Nazareth, il Profeta prosegue dicendo: 'Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio'", perche' in effetti "e' il popolo povero, affamato, prigioniero di guerra, senza futuro, residuale e scartato, che il Signore trasforma in popolo sacerdotale". (AGI)