Il capo della Polizia, il prefetto Franco Gabrielli, ha concesso oggi un’intervista a Giovanni Bianconi del Corriere della Sera, dopo le polemiche sugli sgomberi dei rifugiati a Roma e l’allerta terrorismo. Questi i passaggi salienti.
Sugli sgomberi
“Il problema non è evitare gli sgomberi, bensì le occupazioni; impedire che si realizzino e si consolidino nel tempo. È così che si salvaguardano i diritti. E per fare questo sono necessari interventi e politiche sociali che non riguardano le forze di polizia. Noi siamo chiamati a intervenire quando l’emergenza è già in atto, e spesso per eseguire ordini impartiti da altri, come nel caso del palazzo di via Curtatone a Roma”.
“ Prima di procedere con la forza pubblica bisogna affrontare le situazioni di criticità e fragilità sociale offrendo opportunità alternative a chi ne ha diritto, e questo è un compito che spetta principalmente agli enti locali. Si tratta di un percorso collettivo, nel quale ciascuna amministrazione deve assumersi le proprie responsabilità; noi siamo pronti a fare la nostra parte”.
Sulle occupazioni
"Le amministrazioni locali, e dunque la politica, non possono delegare tutto alle forze di polizia, perché certi problemi, prima che di ordine pubblico, sono problemi sociali, che non si possono scaricare sulle forze dell’ordine, facendole diventare oggetto di strumentalizzazione e scontro tra chi solidarizza con loro e chi le attacca”.
Sulla frase del poliziotto (“Se lanciano qualcosa, spezzategli un braccio”)
“L’intervento andava fatto, però non c’è stata sintonia tra chi doveva eseguire lo sgombero e chi doveva trovare le soluzioni alternative. Alla fine ci si è concentrati sulla frase sciagurata di un poliziotto, ma io credo che se è grave, gravissima quella frase, è ancora più grave il comportamento di chi ha consentito che la situazione degenerasse fino a quel punto, con 800 persone costrette a vivere in condizioni sub-umane e senza diritti”.
“Io ho subito stigmatizzato quell’espressione, e ho parlato con il collega; lui stesso ha riconosciuto ha avuto un’uscita di senno e ha manifestato di ritenere opportuno cambiare incarico. Non penso che vada crocifisso né che vada disconosciuto un passato che è certamente migliore di quell’affermazione, tuttavia l’istituzione che dirigo deve essere credibile, e dunque posso dire che in futuro quel dirigente sarà impiegato in altre attività, diverse dalla gestione dell’ordine pubblico”.
Sulla questione migranti
“Bisogna procedere con l’integrazione, e se ci sono realtà e territori refrattari trovare il modo di far capire che non c’è alternativa. A parte coloro che hanno diritto alla protezione internazionale, ci sono etnie che non otterranno mai lo status di rifugiati e sono destinati a restare illegalmente; per impedirlo, se non si riesce a ottenere i rimpatri, non resta che l’integrazione, che peraltro è un’opportunità da utilizzare per salvaguardarci dalla criminalità e dal terrorismo».
“L’illegalità porta a commettere reati, diventa terreno di reclutamento per le organizzazione criminali ma anche per il terrorismo di matrice religiosa. L’adesione alla propaganda jihadista, molte volte, prima ancora che una causa di pericolo per noi è un effetto di una mancata integrazione sociale; l’aspetto religioso diventa quasi un corollario di situazioni di marginalità e disagio che non trovano altre risposta e diventano espressione di sfida e ribellione”.
Sul pericolo di attentati
“Dobbiamo essere consapevoli del pericolo, e stiamo mettendo in campo tutte le forze possibili per ridurre il rischio e limitare eventuali danni. Ma dobbiamo anche guardarci da un danno psicologico che potrebbe andare addirittura oltre quelli materiali: cambiare le nostre abitudini e piegare il nostro modo di vivere nel timore di un attentato. Perché noi vinceremo questa partita com’è successo con il terrorismo interno e quello mafioso, anche se dovessimo pagare qualche prezzo, ma non dobbiamo cedere al ricatto della paura. E’ quello che vogliono questi terroristi, e non dobbiamo concederglielo”.