La foto di un poliziotto che accarezza una donna eritrea, disperata, dopo che insieme ai suoi colleghi ha provveduto a farla sgomberare insieme a qualche decina di suoi connazionali da piazza Indipendenza. Nel giorno delle polemiche per la violenza usata dalle forze dell’ordine contro famiglie di rifugiati – con tanto di parole indegne ‘rubate’ a un agente (“Se vi tirano qualcosa spezzategli le braccia”) – quella foto, di Angelo Carconi dell'Ansa, diventa virale e scatena commenti di ogni tipo, coinvolgendo intellettuali, gente comune e politici. Quasi come contraltare alla violenza inutile ripresa dalle telecamere (guarda video), alle parole vergognose del poliziotto e all’inefficienza delle istituzioni incapaci di risolvere una situazione che a Roma va avanti da quattro anni.
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Questa carezza restituisce un po' di luce alla vergogna di Roma https://t.co/0BrnOFmbTY
— Luigi Concio (@LuigiConcio) 25 agosto 2017
Sgarbi: "Come un quadro di Rembrandt"
La foto della donna e del poliziotto destinata a vincere il premio come foto giornalistica dell’anno, viene letta in chiave artistica dal critico Vittorio Sgarbi che, sul Giornale, scrive: “Realizza il principio cristiano: ‘Homo homini deus’, e richiama pittoricamente le imposizioni delle mani del padre sul figliol prodigo nel dipinto di Rembrandt all'Ermitage. In quelle mani, più ancora che in un abbraccio, c'è uno slancio istintivo, di somiglianza, di identificazione. Quell'immagine ci ritornerà frequentemente alla mente. Quelle mani sono anche le nostre”.
Una foto che fa pensare a Pasolini
C'è anche chi associa la foto a Pasolini. E' Paolo Madron che su Lettera43 scrive che "quella foto mi ha fatto pensare a Pierpaolo Pasolini, a quella poesia pubblicata su L'Espresso nel 1968 in cui il poeta solidarizza con i poliziotti coinvolti negli scontri di Valle Giulia. Tra studenti e forze dell’ordine, aveva polemicamente scelto di difendere quest’ultime, proletari mandati allo sbaraglio ad arginare quei giovani borghesi con le facce da figli di papà".
Gad Lerner: "Troppo comodo"
Politica (e fortemente polemica) l’interpretazione del giornalista e scrittore Gad Lerner che su Twitter non usa mezzi termini: “Troppo comodo mettersi a posto la coscienza con la carezza di un poliziotto”.
Troppo comodo mettersi a posto la coscienza con la carezza di un poliziotto #PiazzaIndipendenza pic.twitter.com/4kQ5UmoItY
— Gad Lerner (@gadlernertweet) 25 agosto 2017
"Gioco perverso" dell'iconizzazione
Nel suo blog Fotocrazia sui Repubblica, il giornalista Michele Smargiassi si interroga. “Cosa vede Il fotografo in questa foto? La stessa cosa che ci vede la protagonista o il contrario? Cosa ci vediamo noi? Cosa dovremmo vederci? Cosa vorremmo vederci? Cosa i media vogliono che ci vediamo?”. Quindi la risposta: “Nessuna immagine dice la stessa cosa a tutti, nessuna dice tutto. Alcune immagini dicono poco, spesso niente. Questa però sembra voler dire troppo. Sembra voler negare altre immagini – scrive -. La reazione contro la sua invadenza è già partita, in forma di gara a chi trova un’immagine “più vera” degli scontri di ieri, una immagine che contrasti la diffusione di quella immagine, giudicata ipocrita”.
Che cosa fare di una #fotografia che mostra quello che è mancato?, si chiede Fotocrazia... #piazzaindipendenza https://t.co/Q8FmTcRxYZ
— Michele Smargiassi (@Ilfotocrate) 25 agosto 2017
"Ma in questo modo non facciamo che assolutizzare immagini parziali per contrapporle ad altre immagini parziali frettolosamente assolutizzate. Confermiamo solo il gioco perverso dell'iconizzazione. In questa guerra di icone, oltretutto, rischiamo di ammazzare quel poco di servizio civile che la fotografia può ancora rendere all’umanità. Negare questa fotografia sarebbe stolto, così come farne un alibi. La battaglia per un uso civile della fotografia si combatte, io credo, in un altro modo".
Parla il poliziotto: "Mio figlio orgoglioso di me"
Maria Egizia Fiaschetti sul Corriere della Sera ha intervistato il poliziotto ritratto nella foto, identificandolo solo con le iniziali N.G. Nato 48 anni fa a Sulmona (L’Aquila), da 28 è in servizio al reparto Mobile di Roma. “Dopo la prima carica le donne sono tornate nei giardini. Piangevano disperate, temevano di finire in strada e di non riuscire a trovare un’altra sistemazione. Mi sono avvicinato a una di loro e l’ho accarezzata per rassicurarla che le avrebbero trovato un posto dove stare. I miei colleghi, anche se nelle immagini non si vede, hanno fatto lo stesso”. Poi, sulla foto che ha fatto il giro di social e del web, “l’ha vista mio figlio e mi ha chiamato per dirmi: papà, sono orgoglioso di te”.