La collaborazione dell'Italia con la Libia per fermare i migranti che raggiungono l'Europa finisce davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Sulla base del racconto di 17 sopravvissuti al naufragio di un barcone, poi riportati in Libia, una Ong denuncia che tortura e schiavitù sono all'ordine del giorno sulla sponda sud del Mediterraneo, da dove partono gli scafi.
E la colpa, secondo la denuncia, sarebbe anche del lavoro portato avanti dall'Italia con la guardia costiera libica, che ha sottoposto i migranti a condizioni disumane, percosse, stupri e fame.
Un accordo a rischio
Secondo il Guardian, la causa potrebbe costituire una seria minaccia per l'accordo raggiunto lo scorso anno tra il governo italiano e la Libia. Approvato dai leader europei, ha portato a un drastico abbassamento del numero di migranti che arrivano sulle coste italiane.
Video alla mano (registrati dall'equipaggio della nave umanitaria tedesca della Sea Watch durante un 'incontro' con una motovedetta libica), scrive Repubblica i legali chiedono alla Corte di Strasburgo di condannare l'Italia
Il racconto dell'orrore
Il caso presentato alla Corte dall'associazione britannica Global Legal Action Network è incentrato su un incidente avvenuto il 6 novembre 2017 in cui la guardia costiera libica avrebbe interferito nei tentativi di una nave delle Ong di salvare 130 migranti da un gommone.
Avvenire ricostruisce l'accaduto: "Le immagini mostrano la noncuranza dei libici di fronte ai migranti aggrappati al gommone sgonfio o semisommersi dalle onde. La guarda costiera libica, che operava con una delle quattro imbarcazioni consegnate dal Viminale il 15 maggio 2017, non cala il gommone, non lancia salvagenti, non scende in mare ma si limita a porgere una scaletta a chi riesce a salire e poi lancia oggetti contro i gommoni di Sea Watch. Infine riparte anche se un elicottero italiano avvisa via radio numerose volte che un migrante è fuoribordo appeso alla scaletta. Diverse persone scompaiono durante le operazionii di due gommoni".
Cosa dice l'accordo
Secondo i termini dell'accordo, l'Italia ha accettato di addestrare, equipaggiare e finanziare la guardia costiera libica come parte di uno sforzo per riportare indietro le imbarcazioni e rimpatriare i migranti in Libia.
Circa 20 persone sono morte nell'incidente. I sopravvissuti sono stati riportati in Libia dove avrebbero subito violenze estreme in condizioni disumane, con i casi limite di due sopravvissuti "venduti" e folgorati durante le torture.
"Stanno mettendo a rischio la vita dei migranti e li espongono a forme estreme di maltrattamenti riportandoli in Libia per delega", ha affermato Itamar Mann, consulente legale. "Ci auguriamo che questo nuovo caso serva a stabilire il principio chiave secondo cui i cosiddetti" rimpatri "sono contrari agli standard fondamentali in materia di diritti umani".