Nell’area dell’ex Fornace di San Calogero, dove il 2 giugno scorso è stato ucciso in un agguato il 29enne originario del Mali Sacko Soumayla, sono state interrate 127mila tonnellate di rifiuti.
Non è casuale il fatto che il bracciante sia stato ammazzato proprio lì: secondo gli inquirenti dietro il delitto della sera del 2 giugno a San Calogero ci sarebbero interessi legati proprio all’area dove sorge il capannone industriale.
E Soumayla, riporta La Stampa, potrebbe aver pagato una “invasione di campo” commessa quando ha tentato di portar via delle lamiere dalla fabbrica dismessa in cui è avvenuta la tragedia. “Noi non sappiamo cosa ci sia dietro la decisione di allontanare gli intrusi, ma è certo, però, che chi ha sparato ha voluto dare un segnale chiaro: qui gli estranei non sono ammessi. Questa è “cosa nostra” e nessuno deve metterci piede”, spiega il procuratore di Vibo Valentia, Bruno Giordano.
Sarebbero questi, dunque, gli interessi che hanno armato la mano di Antonio Pontoriero, 43enne di San Calogero, che secondo i carabinieri, avrebbe voluto vendicarsi ritenendo che la fabbrica fosse ancora una sua proprietà. Pontoriero è nipote di uno dei titolari dell’area sequestrata nella quale sono stati trovati metalli pesanti, finito a processo per l’inchiesta che ne scaturì nel 2007.
Un’area off-limits
Come si legge sul Corriere, l’area dove sorge la struttura ormai dismessa, circa 100 mila metri quadrati, è stata sequestrata dalla procura di Vibo nel 2011 perché la Guardia di Finanza aveva accertato che in quel posto erano state sotterrate 130 mila tonnellate di fanghi e ceneri industriali, provenienti dalla centrale termoelettrica dell’Enel di Brindisi.
Da quel momento quella zona è diventata inaccessibile non per il divieto giudiziario, ma per una decisione di chi in quella zona vi abita o ha possedimenti agricoli. Un territorio off-limits per tutti. Più volte la fabbrica è stata “visitata” da persone che si sono portate via ferro, lamiere, alluminio. Qualcuno del posto le avrebbe anche avvisati del pericolo cui andavano incontro se fossero ritornati dalle parti della “Fornace Tranquilla”, si chiama proprio così la struttura sequestrata.
Il divieto di avvicinarsi alla fabbrica non sarebbe legato alla presenza dei rifiuti tossici, ben visibili, come spiega l’avvocato Angelo Calzone del Wwf. “Nei tratti non coperti da vegetazione è visibile il colore grigio che ha assunto il terreno, dove emerge la cenere industriale”.
Il giro d’affari
Dietro ci sarebbe un giro d'affari che si aggira sui 18 milioni di euro perché tanto, secondo l’accusa, sarebbe costato il regolare smaltimento dei rifiuti in Puglia. E San Calogero, come tutta la provincia di Vibo Valentia, è assoggettata al dominio criminale del potente clan della 'ndrangheta facente capo alla famiglia Mancuso, il cui quartier generale è nella limitrofa Limbadi. Ma la 'ndrangheta non avrebbe avuto alcun ruolo nel delitto, anche se alcuni zii del sospettato sono ritenuti dagli inquirenti vicini alla cosca. Coinvolti in un maxiprocesso contro i Mancuso a metà degli anni Ottanta, furono, però, assolti al termine dei vari gradi di giudizio.
Il processo infinito
Il processo in corso a Vibo Valentia ai dodici indagati tra cui i titolari della fabbrica, che devono rispondere di associazione a delinquere finalizzata al traffico e all’illecito smaltimento di rifiuti pericolosi, disastro ambientale, inquinamento delle acque, iniziato nel 2012, non si è mai concluso. Per una serie di cavilli e giudici astenuti. Addirittura una volta un’udienza è stata fissata il giorno di Pasqua. Il 28 giugno potrebbe intervenire la prescrizione. E così i vecchi proprietari potrebbero rientrare in possesso della fabbrica.
Chi era Sacko, che viveva all’inferno
Sacko Somayla alloggiava nell'area della tendopoli di San Ferdinando, nel Reggino, e viveva in una baracca. Senza acqua, senza bagni, senza regole, senza diritti, come riportano il Post e La Stampa, qui vivono fino a cinquemila persone nelle pozzanghere d’inverno, nel caldo soffocante d’estate. Nella zona si sono verificati diversi episodi di violenza contro i migranti per cui lo scorso ottobre i carabinieri avevano arrestato quattro ragazzi italiani per aggressioni “con l’aggravante di aver commesso il fatto per finalità di discriminazione e odio razziale”.
Regolarmente presente in Italia, Sacko era iscritto al sindacato Usb di cui era attivista. Il suo impegno era dedicato alla difesa dei diritti dei braccianti agricoli sfruttati nella Piana di Gioia Tauro e costretti a vivere in condizioni fatiscenti in baraccopoli o nella tendopoli di San Ferdinando allestita dalla Protezione Civile. La sua morte aveva provocato tensioni nell'accampamento che l'arresto del presunto omicida dovrebbe aver definitivamente placato.