Sulla vicenda dell'omicidio di Willy Monteiro a Colleferro, riceviamo e pubblichiamo il contributo che la criminologa Flaminia Bolzan e l'avvocato Chaira Penna ci hanno inviato.
La storia terribile di Colleferro sta assumendo contorni inquietanti sotto diversi punti di vista. Non c’è bisogno di precisare quanto la funzione difensiva condanni ogni forma di gogna mediatica e anticipazione della condanna a mezzo stampa.
Al massimo si può ragionare sulla dinamica in via teorica e formulare delle ipotesi, ma confondere la presunzione di innocenza e il diritto ad un processo in un’aula di tribunale con la necessità di dissociarsi comunque da azioni che nella migliore delle ipotesi, a seguito di una rissa nata per futili motivi, hanno cagionato la morte di un ragazzino, percosso e lasciato a terra senza che nessuno chiamasse i soccorsi, ritenendole azioni ancora da accertare nel loro senso globale, significa negare la realtà.
Quando ci si limita a negare, non funzionalmente, ma strumentalizzando la negazione, non è garantismo, è un modo di agire che sminuisce la nobiltà della funzione difensiva stessa.
È tautologico pertanto ripetere la disapprovazione per le azioni e le omissioni di chi, direttamente o indirettamente, intenzionalmente o preterintenzionalmente, ha distrutto la vita di un ragazzo.
Tuttavia ciò a cui stiamo assistendo nella lettura di alcuni dei commenti presenti sotto le foto postate sui social dei fratelli Bianchi è parimenti vergognoso.
Insulti personali, epiteti volgarissimi e minacce o auguri di ogni male alle loro persone e alle famiglie. Non è civiltà neppure questa. È un modo odioso di trascendere su un versante gravemente antisociale, virando verso qualcosa che dovremmo biasimare, di cui dovremmo avere timore.
Ciò che è accaduto tra sabato e domenica notte a Willy Monteiro è gravissimo e vile, è un delitto, è omicidio, ma non è certo dando sfogo all’istinto più basso, digitando parole di odio su una tastiera che può essere sanata la ferita al cuore della sua mamma e di un’intera collettività.
Non siamo qui per giudicare, ma riflettiamo, ci interroghiamo e da tecnici cerchiamo risposte logiche e coerenti per rappresentarci l’accaduto, condannando peró ogni forma di prevaricazione. Il grado di partecipazione materiale e morale di ognuno dei presenti al pestaggio verrà valutato in sede di giudizio, non è peò opinabile il fatto che la condotta posta in essere, specie nei momenti successivi, sia umanamente criticabile.
Crediamo a questo punto che tutti abbiano ben chiara l’importanza del Diritto e della Procedura Penale, dei tre gradi di giudizio e anche della presunzione d’innocenza, ecc., ma proprio perché ne abbiamo rispetto, senza ledere la dignità di nessuno, il fatto di definire una persona con il suo status, ovvero indagato, non può essere considerato “una deriva giustizialista” o una “narrazione distorta”.
E le considerazioni generali in merito all’elemento soggettivo di un reato, o alla proclività ad esperire un comportamento violento come risultanza di fattori individuali e sociali, (chiaramente senza entrare nella valutazione “clinica” di un soggetto o più soggetti, che evidentemente non è operabile in questa sede per varie ragioni) parimenti alla necessità di dissociarsi dagli agiti di tutti i ragazzi presenti la notte in cui Willy è stato ucciso (prescindendo dai gradi di eventuale responsabilità nel decesso), dovrebbero essere la risultanza di un processo di pensiero che in maniera pacatamente critica e nel rispetto della dignità e della reputazione delle persone, si rappresenta peò come un diritto e costituisce, di fatto, libertà di espressione.
Flaminia Bolzan, criminologa
Chiara Penna, avvocato penalista