A Valeria Bruni Tedeschi sono bastati 45 secondi per scuotere un’appisolata platea dei David di Donatello: l’attrice, salita sul palco per ricevere il premio per la sua interpretazione ne “La Pazza Gioia” di Paolo Virzì, ha pronunciato un discorso diventato virale sul web grazie a un turbinio di risate, lacrime e molti, molti, nomi. Si va dall’amica dell’asilo che le offrì un pezzo di focaccia fino ai familiari, passando per il regista, la psicanalista, Giacomo Leopardi e Franco Basaglia, che “cambiò radicalmente l’approccio della malattia mentale in Italia”.
Ma chi era Basaglia? Come è riuscito nell’impresa? E in cosa consiste la legge che porta il suo nome?
Franco Basaglia, lo psichiatra che curava le “persone”
Nato nel 1924 a Venezia, psichiatra, neurologo e docente universitario, Basaglia è considerato il fondatore della concezione moderna della salute mentale. La rivoluzione dello psichiatra prende il via da un ribaltamento della concezione del malato che “è prima di tutto una persona e come tale deve essere considerata e curata”. In quegli anni, infatti, il manicomio è un luogo in cui confinare e ‘disinnescare’ i malati di mente, i ‘folli’, considerati pericolosi per la società. Con il risultato di trasformare il malato da “persona” a “cosa”. A Basaglia si riconosce il merito di aver restituito dignità ai malati attraverso il reinserimento nella società e una rete assistenziale. Muore a 56 anni nel 1980 a causa di un tumore al cervello.
L’esperimento di Gorizia: i malati, il lavoro, la società
Sin dagli anni della specializzazione universitaria, Basaglia lavora in diverse strutture ospedaliere, alcune delle quali all’estero, ma è a Gorizia che il neurologo e psichiatra concepirà il metodo Basaglia, avvicinandosi all’anti-psichiatria. Nel manicomio di Gorizia in cui arriva come direttore, la camicia di forza e l’elettroshock sono i capisaldi del trattamento della malattia.
Basaglia da il via a una vera e propria trasformazione della struttura: adotta il metodo della “comunità terapeutica” inglese, elimina del tutto elettroshock e camicia di forza, apre i cancelli e affianca alle terapie farmacologiche attività ricreative come laboratori di pittura e di teatro.
Nella sua visione il malato non è un soggetto pericoloso, ma una persona in crisi di cui vanno esaltate le qualità umane e che deve avere continui rapporti con il mondo esterno, anche attraverso attività lavorative riconosciute e retribuite. All’esperienza di Gorizia, seguono quella di Parma e di Trieste.
Il salto: i manicomi vanno chiusi
A metà degli anni ’70 Basaglia sente il bisogno di andare oltre la trasformazione della vita all'interno dell'ospedale psichiatrico: il manicomio per lui va chiuso e al suo posto va costruita una rete di servizi esterni, per provvedere all'assistenza delle persone affette da disturbi mentali. Disturbi causati dalla società produttivistica-capitalista, che esercita - attraverso famiglia, scuola, carceri, manicomi - una violenza sui membri della società che rifiutano i suoi dogmi.
La psichiatria, che non ha compreso i sintomi della malattia mentale, deve cessare di giocare un ruolo nel processo di esclusione del "malato mentale", voluto da un sistema ideologico convinto di poter negare e annullare le proprie contraddizioni, allontanandole da sé ed emarginandole.
“La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società per dirsi civile dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragione d’essere”.
La legge 180 e la chiusura dei manicomi
Il 13 maggio del 1978 il Parlamento italiano approva la riforma psichiatrica, nota come “legge 180” e sei mesi dopo viene inserita negli articoli 33, 34, 35 e 64 della legge di riforma sanitaria n.833. La 'Legge Basaglia' sancisce la chiusura degli istituti psichiatrici, il riconoscimento ai malati del diritto ad un’adeguata qualità della vita e l’istituzione dei servizi di igiene mentale pubblici. Mentre il TSO (Trattamento sanitario obbligatorio) è una sorta di emergenza nei casi di aggressività fuori controllo. La nuova normativa sostituisce quella del 1904 secondo cui “il malato di mente è pericoloso per sé e per gli altri”.
Le critiche: malati senza assistenza
La critica più dura mosse alla Legge 180 riguarda la cura e la gestione dei malati psichiatrici e in particolare il fatto di non aver pianificato in modo accurato le conseguenze della chiusura degli istituti psichiatrici. Sono le Regioni (e le Asl) le responsabili dell’attuazione dei provvedimenti che riguardano la cura delle malattie psichiatriche e i servizi offerti, il che genera una grossa differenza sia a livello qualitativo che quantitativo a seconda dell’area geografica.
La situazione oggi
Il 24 febbraio scorso è stata annunciata la chiusura dell’ ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia. Era l’ultimo manicomio criminale ancora operativo tra quelli nati nel 1975 per soppiantare i vecchi manicomi tradizionali e per relegare chi commetteva un crimine e veniva considerato incapace di intendere e di volere.
La decisione di chiudere gli Opg risale al 2012 quando la Commissione giustizia del Senato fissò la data per il 31 marzo 2013, poi prorogata una prima volta al primo aprile dell’anno seguente e una seconda volta, definitivamente, al 31 marzo 2015.
I 76 manicomi attivi nel 1978 sono stati sostituiti da:
- 320 SPDC (servizio psichiatrico diagnosi e cura)
- 1.341 strutture residenziali (C.T.R. comunità terapeutica riabilitativa - G.A. gruppo appartamento - C.A. comunità alloggio)
- 257 Strutture semi-residenziali (D.H. Day hospital)
- 433 imprese sociali (residenziali e semi-residenziali)
- 481 strutture semi-residenziali (C.D. centri diurni)
- 695 centri di salute mentale
Per approfondire: