di Nicola Graziani
Roma - "Fa rabbia vedere tutti i soldi che l'Italia e l'Unione europea spendono cercando di fermare un fenomeno inarrestabile. Rendendo più facile la concessione dei visti per entrare in Europa, abbinando misure meno costose a una politica di incoraggiamenti al ritorno, tutto costerebbe meno e sarebbe più efficace. Chi oggi non torna a casa per salvare la faccia domani lo farebbe, se avesse qualcosa in mano con cui ripresentarsi".
Abdoulaye Bah si autodefinisce "un giovane italiano di 75 anni", perché la cittadinanza l'ha ottenuta dopo ventitré inverni passati in Italia come Nino Manfredi in "Pane e cioccolata". Da clandestino. Il primo immigrato clandestino d'Italia. Era 1967, il 9 ottobre: lo stesso giorno in cui dalla Bolivia si annunciava la morte di Ernesto Che Guevara. Una glaciazione fa. Ed ora, dopo essersi sposato da musulmano in Vaticano, aver lavorato da clandestino all'Iri ed aver rinunciato ad una raccomandazione di Giulio Andreotti dice di provare "impotenza" di fronte ai barconi che si rovesciano. Impotenza e ancora rabbia per quanti sfruttano la disperazione per pochi soldi maledetti, o la paura dell'altro per seminare odio. Un odio che lo ha sfiorato anche quest'estate: è tra quelli che il camion di Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, il 14 luglio a Nizza, ha risparmiato per una manciata di minuti.
"SOFFRIVO LA FAME, FACEVO GLI ESAMI CON LE VERTIGINI"
Questa è la storia, lunga una vita, di Abdoulaye Bah, l'uomo che ha indicato la strada per l'Italia alle generazioni successive ed oggi riflette ad alta voce con l'Agi su quello che la sua vita ha significato. "La mia famiglia, in Guinea-Conakry, era benestante. Mio padre era tra gli uomini più ricchi del paese, già prima dell'indipendenza. Mi fece fare la scuola presso i preti, poi andai a Belgrado e presi il diploma di geometra. Sono arrivato in Italia regolarmente all'inizio del 1963, dovevo essere solo di passaggio. Ma arrivato a Firenze incontrai in un bar uno studente africano e mi fermai. Doveva essere per pochi giorni, e infatti pochi giorni dopo mi sono scaduti i documenti. Ma io sono rimasto". Un "sans papier" prima del tempo, come quelli che in Francia anni dopo avrebbero occupato le chiese. Lui invece decide di iscriversi all'università, da clandestino. Domanda accettata, senza troppi controlli. "Soffrivo la fame, facevo gli esami con le vertigini. L'arcivescovo di Firenze, Ermenegildo Florit, mi faceva mangiare alla mensa della Caritas e dormire all'albergo dei poveri. Fui notato da un professore di statistica, Giuseppe Parenti. Mi chiamò per chiedermi perché facessi tanti esami quando i miei compagni che conoscevano l'italiano (il mio era tutto meno che perfetto) non ci riuscivano. Mi ascoltò e alla fine mi diede un incarico pagato 25.000 lire al mese".
Arriva così il diploma di laurea per chi in Italia non avrebbe dovuto nemmeno abitarci. Arriva anche il momento di decidere del proprio futuro e lui sceglie di tornare a casa. Ma non può. "Ero a Parigi, mi venne a trovare mio padre. Gli dissi che volevo rientrare per aiutare il processo rivoluzionario in corso nel nostro paese. 'Per la nostra etnia tira una brutta aria', mi disse, 'è meglio se non torni'. 'Come faccio?', dico io, 'non ho uno straccio di documento'. Mi guardò e mi fece: 'Arrangiati'. Io mi arrangiai. Purtroppo aveva ragione: dopo qualche anno morì in un campo di concentramento del regime e tutti i suoi beni vennero sequestrati. Lui, figlio di un oppositore della colonizzazione francese". Sì, ma come rientrare in Italia? Bah cerca di falsificare la data di scadenza del passaporto, bruciando l'ultima cifra. Un disastro. "Decisi allora di cambiare strategia: presi il treno da Parigi per Roma. Arrivati alla frontiera dopo Mentone, prima di Ventimiglia; non appena sentii dire 'Polizia di frontiera, controllo passaporti', entrai in un bagno e mi infilai dietro la porta aperta. In piedi sul wc, incollato al muro. Il poliziotto si affacciò, non mi vide e richiuse. Tutto in ordine, Dopo qualche minuto il treno ripartì". Pensione per studenti squattrinati a via Marsala, pigione non pagata per mesi, grande pazienza della proprietaria. Inizia però una nuova vita, sempre da clandestino ma questa volta da clandestino redattore di un mensile. "Mi occupavo di diritti delle donne, problemi della gioventù, apartheid, lotta contro la segregazione negli Usa, decolonizzazione e attualità internazionale. Mi pagavano 20.000 lire al mese. L'affitto me ne prendeva 15.000, con il resto mi arrangiavo per mangiare; per i vestiti prendevo quelli della Caritas".
DALLA CONSULENZA ALL'IRI AL MATRIMONIO DA CLANDESTINO IN VATICANO
Quando anche la proprietaria di via Marsala non regge più, si stabilisce a via dei Coronari da Mangiafuoco, il personaggio felliniano che all'epoca sputava benzina sulla fiamma per la meraviglia dei bambini di Piazza Navona. Intanto arrivano altri lavori: consulenze per le relazioni pubbliche dell'Iri, traduzioni per la Pontificia Accademia della Scienze. E in Vaticano Bah, che è musulmano da non si sa quante generazioni, si sposa con una donna italiana conosciuta ad una festa e conquistata nonostante un look molto improbabile. "Mi sono sposato in Vaticano perché non avevo i documenti richiesti per sposarmi in Italia, tanto il matrimonio religioso era valido sia in Italia che in Guinea. Bastarono il certificato di nascita e una dichiarazione di un mio amico guineano, cristiano, che diceva che mi conosceva dall'infanzia e che sapeva che li' non avevo fondato alcun tipo di famiglia". Del resto, lo Spirito soffia dove vuole e lui tra Islam e Cristianesimo ha da sempre imparato a barcamenarsi: "Da bambino, ho vissuto molto a contatto con mio nonno che era un importante capo religioso, morto alla Mecca nel 1949. Ho seguito molte delle sue prediche, piene di pietà. Dopo le elementari, mio padre mi ha pagato gli studi in un collegio tenuto da preti, il migliore della Guinea". E ora, che ha due figli, sintetizza così il risultato : "Il primo è terziario francescano, il secondo è agnostico. Io sono diventato militante del Partito Radicale". Logico.
LA RACCOMANDAZIONE (RIFIUTATA) DI ANDREOTTI
Nel 1975 la svolta: assunto dalle Nazioni Unite. Un lavoro vero. "Giulio Andreotti, la cui suocera abitava sullo stesso pianerottolo della mia, mi aveva proposto un lavoro presso un centro studi sul Lazio. Rifiutai, per ragioni anche politiche". La cittadinanza comunque è a un passo. "Presentai la domanda grazie alla riforma Martelli della legge sulla famiglia, quando i figli hanno iniziato l'università a Perugia nel 1990". Arrivano i documenti, la regolarizzazione, anche se lui nel frattempo si è spostato a Vienna per lavoro. L'ultimo passo di un percorso iniziato più di due decenni prima, in piedi su un wc ferroviario al confine di Mentone. In Italia la Rai mandava ancora in onda "Il Cammino della speranza" di Pietro Germi. Lui aveva tracciato un'altra rotta, destinata ad essere ancora più battuta, e oggi nel vedere quanto accade nei mari di Lampedusa, o proprio sugli scogli di Ventimiglia, sbotta. "La mia rabbia va verso tutti, a cominciare dai dirigenti e dai media dei paesi di provenienza", sottolinea, "dai primi, perché se la gente si trova a scappare con qualsiasi mezzo dalla miseria in patria è per via del mancato sviluppo. I media poi non informano a sufficienza questi dannati dei rischi ai quali si espongono. Ma anche loro, i migranti, invece di pagare tanti soldi per mettere a rischio la propria vita, potrebbero impegnarsi nel praticare attività economiche che, come l'agricoltura, non richiedono grossi investimenti né particolari competenze. In Africa invece c'è grande richiesta di prodotti alimentari". Ma è anche il clima che si respira nella parte ricca del Mondo a divenire più pesante. "Poco tempo fa un marine americano mi ha accusato, nella metro di Roma, di avergli rubato il passaporto. Evidentemente impossibile: ero davanti a lui. Ma diceva che doveva essere così, perchè ero l'unico nero tra i passeggeri". Ha ottenuto piena soddisfazione, per carità, ma l'offesa pare lasciare un segno nel suo animo di giovane italiano di 75 anni. Come l'altro caso, che lo lascia ancora più amareggiato, di un cameriere italiano che lo spintona fuori da un ristorante. Non è accaduto in Italia, ma a Nizza, dove l'odio seminato in questi anni ha dato i suoi frutti. (AGI)