di Nicola Graziani
Roma - Cento anni fa, pochi giorni dopo l'avvio della più sanguinosa offensiva della Prima Guerra Mondiale, il comando militare britannico dislocava sul fronte della Somme l'11mo Fucilieri del Lancashire, e un sottotenente chiamato John Ronald Reuel Tolkien si trovò nel pieno dell'inferno dell'attacco. Ne sarebbe nato uno dei libri più letti e tradotti di tutta la letteratura del secolo scorso, "Il Signore degli Anelli". Tolkien, all'epoca, aveva 24 anni ed era impegnato nelle comunicazioni tra le truppe in prima linea. Era fresco di laurea ad Oxford e di matrimonio. Con lui sulla Somme c'erano quattro compagni di corso. Ne sarebbero tornati solo lui e un altro. Ricorderà anni dopo: "Noi sottufficiali venivamo spazzati via, a decine al minuto". Ungaretti avrebbe descritto lo stesso stato d'animo con una delle sue poesie più belle, "Soldati"; Tolkien si rifugiò nella poetica norrena ed eddica: Beowulf e le saghe nordeuropee.
Sotto il riparo di tende di fortuna, spesso nel fango delle trincee nel bagliore delle luci da campo inizia a gettare i primi schizzi della cosmogonia del Silmarillion, della mitologia delle Terra di Mezzo, infine della descrizione della Contea, terra pacifica e serena dove tutti sognano di tornare. L'offensiva dura dal luglio al novembre del 1916: quattro mesi nel corso dei quali Tolkien partecipa al macello che furono la battaglia del Crinale di Thiepval, quella per la Ridotta di Schwaben e quella per la presa della trincea Regina. Nella sola prima giornata dell'Offensiva della Somma i morti britannici erano stati 19.240. Mai erano stati cosi' tanti in un solo giorno di guerra prima di allora, mai lo sarebbero stati nemmeno in seguito. Alla fine delle operazioni i caduti dall'una e dall'altra parte avrebbero superato i 300.000: era l'Europa che si suicidava.
Tolkien vive fino in fondo questa esperienza di fango, paura e morte. Viene colpito dalla febbre da trincea, una malattia trasmessa dalle pulci che infestavano le postazioni militari. Ricoverato, può passare un periodo di convalescenza nello Staffordshire e completa il primo dei "Racconti Perduti", "La Caduta di Gondolin". Ma sono le pagine abbozzate sulle Morte Paludi, e soprattutto quelle in cui si descrivono le grandi battaglie e gli assedi, che fanno del "Signore degl Anelli" l'opera che più di tutte riprende la terribile esperienza di quei quattro mesi. Orchi, nani e gnomi non sono solo i popoli e le razze che si incrociano nella Terra di Mezzo o lungo il cammino che porta al Monte Fato: sono le categoria in cui si suddivide l'uomo sotto l'incessante cannoneggiamento del pezzo da novanta. E il tempo scandito dal cannoneggiamento, mentre si è in trincea, è lo stesso che si vive tra le mura di Minas Tirith, cosi' come respingere l'offensiva nemica nelle strettoie della trincea diviene, all'inizio delle Due Torri, la disperata resistenza della Battaglia del Fosso di Helm. Lo stesso Assedio di Gondor vede gli orchi "scavare, scavare linee di profonde trincee a fornare un anello sconfinato". E la stessa creazione meccanica degli orchi a Isengard ricorda la formazione e l'addestramento delle truppe, volto a trasformare il soldato in macchina da combattimento. Le stesse Morte Paludi, in un riferimento particolarmente esplicito, altro non sono per Tolkien se non i campi della Somma impregnati di morti e acqua marcia dopo le piogge e i combattimenti dell'ottobre 1916.
Ma ad essere plasmati dalla terribile esperienza della Somma sono due punti salienti della trilogia del Signore degli Anelli. Il primo è costituito dalla figura dell'Hobbit, mezzo uomo e amante del privato, della birra e delle feste, costretto ad affrontare prove più grandi di lui perché altrimenti anche la sua amata Contea sarà spazzata via da una furia che prima o poi arriverà. L'Hobbit è per eccellenza l'antieroe, l'uomo riuscito anche fisicamente a metà in un'epoca in cui sono considerati veri uomini solamente gli eroi e gli arditi. Frodo Baggins e Samwise Gamgee sono figure quasi fuori luogo, del tutto inferiori all'impresa cui sono chiamate: sono la raffigurazione di quelle centinaia di migliaia di persone normali che si trovarono costrette a buttarsi sul filo spinato o sotto il fuoco della mitraglia per conquistare pochi metri di terreno. A riguardo, anche dopo la Seconda Guerra Mondiale (il Signore degli Anelli viene pubblicato nel 1953), Tolkien è categorico: l'Hobbit è "il riflesso del soldato britannico", vittima della guerra e del motore che l'ha scatenata: la volontà di potenza. Questa, insieme alla nostalgia, è una delle grandi tematiche del libro. E' la volontà di potenza che muove Sauron, il Male che minaccia tutta la Terra di Mezzo. L'Anello che la racchiude rende schiavi, a cominciare dalla figura disperata di Gollum. E lo stesso Frodo, alla fine, vi cede anche se solo in parte: come tutte le abiezioni, si tratta di un male più contagioso della febbre da trincea. Quella prendeva soprattutto la gente normale, il soldato medio o il sottufficiale J. R. R. Tolkien, del 11mo lancieri del Lancashire, mandato nelle retrovie dopo aver visto lo scempio della Somme e aver trovato un primo, disperato rifugio nella letteratura norrena. (AGI)