Nelle prossime settimane quasi certamente la vicenda – surreale – del testo sul decreto fiscale “manipolato” avrà delle ripercussioni misurabili sull’opinione pubblica, e forse anche sulle intenzioni di voto.
Ma per capire come mai si è arrivati ad un episodio del genere (forse la prima, vera “crepa” pubblica nel rapporto tra M5S e Lega) è utile capire quello che i sondaggi ci stanno raccontando da qualche settimana.
La tendenza ormai “conclamata”, e le cui avvisaglie si erano percepite già la scorsa settimana, parla di un calo dei consensi di Lega e Movimento 5 Stelle. Non è la prima volta che nella nostra Supermedia uno dei due partiti di governo perde terreno rispetto alle settimane precedenti. Ma, prima di oggi, se il M5S registrava una flessione, la Lega saliva, e viceversa. Mentre stavolta il calo riguarda entrambi.
Una flessione dello 0,8% (Lega) o dello 0,2% (M5S) può sembrare poca cosa, e in effetti lo è da un punto di vista strettamente statistico. Ma si tratta della prima volta, nella nostra Supermedia, che la Lega perde terreno per due settimane di fila; inoltre, il calo registrato è ancora più netto se si considerano solo quegli istituti che realizzano delle rilevazioni su base settimanale. SWG, ad esempio, ha visto la Lega passare nelle ultime 2 settimane dal 32,2% al 30,5% e il M5S dal 29,8% al 28,1%: nel complesso i due partiti di governo sarebbero quindi passati dal 62% al 58,6% in soli quindici giorni.
Va subito precisato che a questa flessione non corrisponde – per il momento – una ripresa da parte delle opposizioni. Il Partito Democratico risale leggermente (+0,3%) ma Forza Italia perde mezzo punto. E comunque la strada verso una recupero di centralità (e credibilità) per questi due partiti sembra tutta in salita.
Nel PD si parla molto delle candidature alla segreteria in vista del prossimo congresso (prima di tutti è partito Zingaretti, a cui si sono aggiunti Richetti e Boccia, mentre si fanno insistenti le voci su una candidatura di Minniti), ma il tema sembra scaldare poco o punto i cuori dell’elettorato. Un sondaggio Ipsos ha chiesto agli italiani da chi dovrebbe ripartire il PD e ha visto prevalere, con un vero e proprio plebiscito (61%), l’opzione…“nessuno”. Al netto di questa voce, il più indicato è risultato l’ex premier Gentiloni (11%) seguito da Zingaretti (9%) e dal trio Renzi-Minniti-Calenda (5% ciascuno).
Ma la “sofferenza” – se così si può chiamare – della maggioranza nei consensi è legata, con tutta evidenza, alle tribolazioni sulla manovra economica. Nella maggior parte delle rilevazioni (con l’eccezione di Tecnè, che abbiamo visto la settimana scorsa) i contenuti della manovra relativi a tasse, pensioni e reddito di cittadinanza sono ancora visti più favorevolmente che negativamente.
Da una pluralità di fonti, però, emerge ormai una forte preoccupazione per le conseguenze di un atteggiamento troppo “disinvolto” nella gestione dei conti pubblici. Al netto del giudizio sulla manovra in sé, la maggioranza degli italiani è preoccupata da un eventuale rialzo dello spread sia secondo l’istituto Demopolis (il 49% si dice preoccupato, il 35% no) sia, ancor più, secondo i dati di SWG (57% preoccupato, 33% no).
Nemmeno la scelta di fare più deficit per finanziare le riforme gode di una prevalenza di giudizi favorevoli: in questo caso è ancora Tecnè a rilevare come il 44% degli italiani sia favorevole a questa strategia, ma quasi altrettanti (42%) la ritengano invece una mossa sbagliata che “indebolisce il paese e rischia di far esplodere nuove crisi”.
Che il bilancio dello Stato sia in grado di sostenere le spese previste dal DEF, del resto, non è una convinzione unanime. Secondo un sondaggio di Ixè, solo il 18% degli italiani pensa che le casse pubbliche possano far fronte a tutte le misure annunciate dal Governo. Un altro 29% pensa invece che queste proposte possano essere messe in cantiere, ma solo in parte. Infine, più di un terzo (37%) degli intervistati ritiene che le risorse a disposizione non siano sufficienti a realizzare alcuna proposta governativa.
L’analisi degli elettorati mostra – senza troppe sorprese – che gli elettori di M5S e Lega sono da questo punto di vista i più ottimisti: tra loro, infatti, circa la metà è convinta che ci siano le risorse per finanziare tutte le misure promesse; ma vi è anche una quota (minoritaria ma non irrilevante, pari al 16-17%) che le ritiene tutte irrealizzabili. Quest’ultima posizione è quella prevalente in tutti gli altri elettorati, soprattutto tra chi voterebbe PD: qui gli scettici “totali” sono ben 7 su 10, e solo il 9% è convinto che le spese richieste dalle misure governative siano sostenibili.