Il referendum sulla liberalizzazione dei servizi di mobilità pubblica a Roma non ha raggiunto il quorum. Per questo referendum – comunque di tipo solo consultivo, dunque non vincolante per la Giunta capitolina – era previsto un quorum del 33%: mentre il dato finale della partecipazione si è fermato, alle 20 di ieri sera, a meno della metà: 16,4%.
Molte sono le polemiche che hanno accompagnato il referendum: i promotori dei quesiti hanno accusato il Sindaco di aver posticipato eccessivamente la data e di non aver dato alcuna pubblicità alla consultazione; le stesse operazioni di voto sono state oggetto di recriminazioni; e i Radicali hanno annunciato ricorso al Tar contro la decisione del Comune di mantenere il quorum nonostante si trattasse di un referendum meramente consultivo.
Al di là di queste polemiche, ciò che resta è una partecipazione bassissima, che ha decretato il sostanziale fallimento del referendum nonostante la – prevedibile – prevalenza, netta, dei Sì (il 75% circa per entrambi i quesiti). In molti hanno puntato l’indice contro il “boicottaggio” dell’amministrazione comunale e verso il disinteresse degli stessi elettori romani verso la questione del trasporto pubblico. Ma la nostra analisi suggerisce che questo esito possa essere anche il frutto degli orientamenti politici.
Il referendum era stato presentato (anche) come un modo per esprimere un giudizio negativo sull’amministrazione Raggi: non sorprende allora che il Movimento 5 Stelle si sia schierato nettamente contro questo referendum; così come non sorprende che – sia pure dopo un dibattito interno non unanime – il PD si sia schierato per la partecipazione e per il Sì ai 2 quesiti, affiancando i Radicali che erano stati i primi promotori della consultazione.
Sia la mappa dell’affluenza sia quella dei Sì al primo quesito (del tutto analoga a quella relativa al secondo quesito), mostrano come i favorevoli al referendum siano stati in numero nettamente superiore nei due Municipi del centro (I e II).
Questa “frattura” non è inedita nella geografia politica della Capitale: è infatti la stessa che è emersa in occasione delle ultime Comunali, quando (nel 2016) la Raggi divenne sindaco sconfiggendo nettamente al ballottaggio il democratico Giachetti: i 2 Municipi del centro infatti sono gli unici in cui Giachetti precedette la Raggi al primo turno, e dove al ballottaggio fu sconfitto solo di misura.
La correlazione tra voto amministrativo e orientamento favorevole al referendum sull’ATAC è nettissima: avendo come riferimento il primo turno, si nota come il Sì al referendum (calcolato sul totale degli aventi diritto, in modo tale da scontare le differenze di affluenza) sia correlato in modo quasi esattamente inverso con il voto al M5S e in modo diretto con quello ai partiti di centrosinistra (PD, Radicali e altri) pro-Giachetti:
Davvero incredibile è poi il confronto con i voti assoluti ottenuti da Giachetti al primo turno nei singoli Municipi con il numero assoluto di Sì al referendum di ieri: il rapporto tra questi due numeri è quasi ovunque intorno al 90%, con un picco negativo nel VI Municipio (59%) e uno positivo nel secondo (121%). Nel I Municipio vi è addirittura un’identità quasi perfetta (25.134 Sì al referendum contro 25.132 voti a Giachetti al primo turno).
Se pensiamo che queste correlazioni siano poco sensate perché è passato troppo tempo (due anni e mezzo) dalle Comunali 2016, proviamo allora a dare uno sguardo a quello che emerge correlando i Sì al referendum con il voto alle ultime Politiche: in questo caso la relazione diventa ancora più forte, sia se inversa (nel caso del voto al M5S) sia se diretta (voto a PD e +Europa).