La 'vivisezione' del voto per le comunali

La 'vivisezione' del voto per le comunali

Approfondiiamo l’analisi sull’esito della tornata elettorale del 3 e 4 ottobre scorso. Dopo aver visto la panoramica dei bilanci, infatti, sono proprio i sondaggi a suggerire ulteriori chiavi di lettura 
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© Alessandro Serranò / Agf - Il voto per l'elezione del sindaco a Roma

AGI - Anche se il primo turno delle elezioni amministrative è ormai alle nostre spalle, non è (ancora) tempo di riprendere la nostra Supermedia. Troppo pochi sono i giorni passati da quando si sono chiuse le urne, e troppo pochi (meglio: nessuno) i sondaggi sulle intenzioni di voto nazionali pubblicati. Questo però non ci impedisce di approfondire ulteriormente l’analisi sull’esito della tornata elettorale del 3 e 4 ottobre scorso. Dopo aver visto la panoramica dei bilanci, infatti, sono proprio i sondaggi a suggerire ulteriori chiavi di lettura su questo voto.

Cominciamo dall’analisi dei flussi elettorali. Qui, per la verità, più che sui sondaggi l’ideale è basarsi sui complessi calcoli matematici realizzati a partire dai dati elettorali di sezione, per ciascun comune andato al voto. In base ai dati disponibili, YouTrend ha elaborato per il Gruppo GEDI una serie di analisi dei flussi elettorali in 3 delle 5 città principali: Napoli, Torino e Bologna (mentre Roma e Milano non hanno ancora pubblicato questi dati).

Nel capoluogo partenopeo, la vittoria di Gaetano Manfredi è figlia di un afflusso di voti proveniente da molteplici direzioni. L’ex ministro del Governo Conte II ha innanzitutto ereditato la maggior parte dei voti andati al suo predecessore, Luigi De Magistris, nel 2016; ma altri consensi sono affluiti in misura importante anche dagli ex elettori dei suoi sfidanti (Valente del centrosinistra, Lettieri del centrodestra e – non ultimo – Brambilla del M5S).

 

 

Il grande consenso ottenuto nel recente passato dai grillini a Napoli (nettamente primo partito sia alle Politiche 2018 che alle Europee 2019) si è riversato solo in minima parte nella lista M5S nel voto per il Comune: la maggior parte degli (ex) elettori M5S si è oggi rifugiata nell'astensione, oppure ha votato altre liste della coalizione di Manfredi. Altro elemento interessante che emerge dall'analisi è la provenienza dei voti a Bassolino e Clemente: in entrambi i casi si tratta in gran parte di voti che nel 2016 andarono a De Magistris, e se questo non sorprende per ciò che riguarda la Clemente (assessora uscente nella precedente giunta), è indicativo che Bassolino sia stato votato in misura molto più consistente dagli ex elettori di De Magistris che da quelli di Valeria Valente, sua ex compagna di partito che lo sconfisse alle primarie proprio nel 2016.

A Torino invece il centrosinistra è stato premiato in particolar modo da una astensione "asimmetrica". Nel capoluogo piemontese, le file degli astenuti sono state particolarmente ingrossate da chi alle Europee 2019 aveva votato Lega (circa metà di questi elettori si è astenuto) e da chi nel 2016 aveva votato Appendino. Mentre il grosso degli elettori del PD (e di Fassino, nel 2016) ha confermato il proprio voto scegliendo nuovamente i democratici (e Lo Russo), solo una parte molto minoritaria degli elettori ex leghisti, a distanza di poco più di due anni, ha nuovamente votato per il partito di Salvini.

 

 

Da notare come una parte non irrilevante – circa un terzo – dei consensi andati al candidato di centrodestra Damilano provenga da elettori torinesi che nel 2016 avevano votato per Fassino (all'epoca sindaco uscente di centrosinistra), mentre la netta maggioranza degli elettori di Chiara Appendino nel 2016 oggi ha preferito rifugiarsi nell'astensione invece che votare per Valentina Sganga.

Infine, a Bologna il neo-eletto Matteo Lepore si è rivelato un candidato "pigliatutto", così come Manfredi a Napoli. A votare per Lepore, infatti, non è stata (solo) la stragrande maggioranza di chi nel 2016 votò per il sindaco uscente Virginio Merola (che all'epoca fu costretto al ballottaggio contro Lucia Borgonzoni); flussi di voto in entrata per Lepore sono arrivati anche da elettori che avevano votato per Bugani (M5S), e per i civici Bernardini e Martelloni.

 

 

Da parte sua, il candidato di centrodestra Battistini ha sì intercettato la gran parte degli ex elettori della Borgonzoni, ma per costringere Lepore al ballottaggio avrebbe dovuto anche convincere quei tanti elettori nel 2016 hanno votato (soprattutto per il M5S Bugani) e che in occasione di questa tornata si sono rifugiati nell'astensione.

Dove non arrivano i dati di sezione, però, possono venire in soccorso proprio i sondaggi. Così, almeno per quanto riguarda Milano, sappiamo da un’indagine di Demopolis che il bottino di voti con cui Beppe Sala si è confermato alla guida di Palazzo Marino è composto “solo” per meno di ¾ da elettori che lo avevano già votato al primo turno nel 2016: ben il 16% dei 277 mila voti ottenuti da Sala quest’anno provenivano invece da chi 5 anni fa gli aveva preferito il suo principale sfidante, Stefano Parisi, e un altro 11% da elettori di altri candidati (in primis Corrado del M5S).

L’analisi di Demopolis – incentrata però solo sulle 4 principali città al voto, cioè Roma, Milano, Napoli e Torino – si concentra anche sul bilancio di queste elezioni, che hanno visto i candidati di centrosinistra ottenere ben 100 mila voti in più (da 756 mila a 856 mila) rispetto al 2016. Secondo gli elettori di centrodestra intervistati da Demopolis, la principale ragione del successo “sotto le aspettative” per lo schieramento conservatore risiede nell’aver scelto “candidati civici poco noti”, peraltro in modo “tardivo”, motivazione indicata dal 53% del campione.

E che i candidati siano stati un fattore decisivo nel determinare l’esito di queste elezioni (dove il sindaco viene eletto direttamente dal voto dei cittadini) lo confermano gli stessi elettori delle 4 città campione di Demopolis: 6 su 10 indicano i candidati – sindaci o consiglieri – come il maggior “driver” della loro scelta di voto, mentre solo il 14% indica un partito: una fotografia piuttosto impietosa di quanto oggi il “voto di appartenenza” sia poco rilevante, perlomeno nel contesto di un’elezione amministrativa.

E su Roma? In attesa che il Comune rilasci i dati elettorali di sezione (un’attesa che potrebbe prolungarsi per diverse settimane…) cosa ci dicono i numeri in vista del ballottaggio tra Gualtieri e Michetti? Una delle variabili più interessanti è certamente il comportamento degli elettori di Carlo Calenda, terzo classificato che ha sfiorato il 20% dei consensi e che ha già dichiarato la sua preferenza – rigorosamente a titolo personale – per Gualtieri. A giudicare da un’indagine di SWG, però, la maggior parte dei suoi elettori potrebbe orientarsi nello stesso modo, anche senza di un’indicazione di voto esplicita: oltre il 58% di chi a Roma ha votato per il leader di Azione, secondo questo sondaggio, si autocolloca a sinistra o nel centrosinistra, mentre solo il 16,2% si considera di destra/centrodestra.

Se anche tutti gli elettori di Calenda che si collocano politicamente al centro – o non si collocano affatto – scegliessero di votare per Michetti, quindi, ve ne sarebbero comunque di più che, in virtù della loro collocazione sul fronte progressista, dovrebbero scegliere Gualtieri.

Le ultime segnalazioni degne di nota riguardano il tema dell’affluenza (mai così bassa in un’elezione amministrativa di respiro “nazionale”) e della scarsa presenza di donne candidate ed elette. I numeri dell’istituto EMG, presentate durante la trasmissione “Agorà”, ci dicono che gli italiani sono in netta maggioranza (62%) preoccupati da una così scarsa partecipazione alle urne; ma i principali responsabili di questa disaffezione, sempre secondo lo stesso sondaggio, sarebbero i partiti, messi sotto accusa in modo “diretto” dal 53% in quanto ritenuti incapaci di rispondere alle esigenze dei cittadini – e in modo “indiretto” da un ulteriore 39% per non essere stati in grado di presentare candidati all’altezza.

Anche per quanto riguarda la scarsissima presenza femminile nel bilancio di queste elezioni si registra una maggioranza di italiani preoccupati, ma in modo decisamente meno netto rispetto al tema dell’affluenza: il 51% si dice preoccupato, a fronte di un 43% che invece si dice “indifferente” al problema. Un dato preoccupante, in qualunque modo lo si voglia leggere.